A cura di: Studio Spinapolice & Partners
L’ABF è il sistema stragiudiziale di risoluzione delle controversie bancarie indipendente, istituito presso la Banca d’Italia. Nella relazione annuale si legge anche che nei primi tre mesi del 2018, con circa 8.000 ricorsi ricevuti, si registra una sostanziale stabilità rispetto al 2017.
Apprendiamo, inoltre, che le regioni con maggior numero di ricorsi in rapporto alla popolazione residente sono: Campania, Calabria e Sicilia.
Materia quantitativamente prevalente dei contenziosi aperti è la cessione del quinto di stipendi/pensioni (73% dei ricorsi totali). Oltre ben il 77% di questi ricorsi “ha avuto un esito sostanzialmente favorevole al cliente (47% accolti; 30%cessati), con restituzioni di circa 19 milioni di euro”. Leggiamo anche che, stante il picco di ricorsi, la durata del contenzioso è stata in media di 260 giorni, durata considerata non soddisfacente e per la quale c’è l’impegno di ridurla.
Osserviamo che un tale aumento di contenzioso bancario e finanziario, con prevalente esito a favore del cliente, è sintomo di un problema sistemico, ma lascia anche spazio a una speranza di giustizia. Mai dare nulla per scontato, dunque! Non sempre la ragione è dalla parte del più forte ed è giusto, se si è convinti di aver subito un torto da una banca, far valere i propri diritti.
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Dopo oltre 3 anni di tendenza negativa, finalmente il trend sembra invertirsi. I motivi sono vari, innanzitutto si è interrotto il tasso di default delle imprese e quelle superstiti sembrerebbero essere le più solide e capaci di onorare i debiti. I dati Crif rilevano che il tasso di default delle imprese a dicembre 2017 è stato del 3,9% nettamente inferiore a quello del 5,8% rilevato a dicembre 2015 e molto lontano dal momento peggiore, dicembre 2009, quando aveva raggiunto il 7,9%.
Per quanto riguarda le famiglie, queste hanno beneficiato di maggiore accesso al credito, grazie anche al miglioramento del quadro congiunturale complessivo.
Nell’insieme, dunque, segnali positivi che lasciano intendere e sperare in aspettative positive per il prossimo biennio.
Anche i dati sulla spesa media delle famiglie italiane rilevati dall’ISTAT nel 2017 sono positivi, con un aumento dell’1,6% rispetto al 2016 e un importo medio di 2.564 euro al mese per famiglia. Sebbene i dati siano in crescita negli ultimi quattro anni, sono comunque ancora al di sotto del 2011, che rilevava una spesa media di 2.640 euro mensili; inoltre, risentono di disuguaglianze. Si va dai 4030 euro al mese (+12,4% rispetto al 2016) per le famiglie di imprenditori e professionisti, ai 2.792 euro degli altri lavoratori indipendenti. Mentre, per le famiglie di lavoratori dipendenti, si va dai 3278 euro al mese dei dirigenti e quadri ai 2347 euro di operai e assimilati.
Ciò che un po’ preoccupa è il dato delle disuguaglianze nella distribuzione della spesa, in aumento rispetto al 2016.” La spesa media mensile del decimo di famiglie che spende meno è diminuita del 5% (-2% rispetto al 2013) mentre quella del decimo che spende di più è aumentata del 4,3% (+13% rispetto al 2013)”, riporta l’ISTAT. Inoltre, le famiglie composte da stranieri spendono in media 945 euro in meno rispetto a quelle di soli Italiani, nel 2016 la differenza era di 1.000 euro. Come sempre, infine, permane una differenza di spesa tra le diverse zone del Paese con un “divario tra il valore più elevato del Nord-ovest (2.875 euro) e quello più basso delle isole (1.983 euro) è sostanzialmente stabile e pari a poco meno di 900 euro”, conclude l’ISTAT.
In conclusione, si osserva una seppur lenta crescita che non colma, anzi accentua, le tante differenze del variegato scenario economico italiano. La speranza resta un rilancio complessivo del sistema paese, che veda aumentare la produttività e, quindi, i consumi.
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Questi azionisti ad oggi, in sostanza, si ritrovano con un pacchetto azionario illiquido e avente un valore nominale assai inferiore di quello d’acquisto.
Un elemento di novità nel contesto generale potrebbe essere rappresentato dalla recente decisione della Corte Costituzionale che ha respinto le istanze di incostituzionalità sollevate al Consiglio di Stato, causa del ritardo nell’applicazione della riforma delle banche popolari a suo tempo approvata.
Nel 2015, infatti, il governo Renzi approvò un decreto legge con cui imponeva la trasformazione delle banche popolari più grandi (con patrimonio superiore agli 8 miliardi) in società per azioni, entro la fine del 2016.
La riforma interessava 10 Istituti di Credito: BPM, BPER, CREVAL, POPOLARE DI SONDRIO, UBI, BANCO POPOLARE, BANCA ETRURIA, POPOLARE DI VICENZA, VENETO BANCA e POPOLARE DI BARI. Di queste, 8 su 10 si sono adeguate alla nuova disposizione di legge, tutte eccetto Banca Popolare di Bari e Banca Popolare di Sondrio. Da alcuni soci di minoranza della Popolare di Sondrio, infatti, furono presentati i ricorsi, adesso respinti in via definitiva.
Ma come erano state governate fino ad allora queste banche? Col voto capitario, in base al quale ogni socio può esprimere un solo voto (un voto per ogni testa) nell’assemblea degli azionisti, a prescindere dal numero di quote possedute.
Grazie a questo sistema, letteralmente scardinato dalla riforma del 2015, nessun soggetto, banche incluse, ha mai potuto acquisire il controllo della maggioranza dei voti in assemblea. Anche le nomine degli amministratori avvenivano con il consenso della maggioranza degli azionisti.
Dopo il periodo di congelamento dovuto ai ricorsi pendenti, adesso anche la Popolare di Sondrio e di Bari devono adeguarsi alla riforma e questo potrebbe significare la possibilità di manovre per scalare i due istituti.
Anche la Popolare di Bari sta procedendo alla trasformazione in S.p.A. e, in base alla circolare di attuazione di banca d’Italia, i soci avranno facoltà di recesso dalle azioni possedute, oggi del valore di 7,50 euro ciascuna, ma senza diritto di rimborso
Staremo a vedere, l’unica certezza, per ora, è che ormai anche tutte le popolari entreranno sui mercati azionari. Le conseguenze, al momento, non sono valutabili.
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Rendere sicuro, proteggere da un danno o pericolo. Questo, in due parole, il significato essenziale all’origine di un qualsiasi contratto di assicurazione. Sempre più spesso, però, è necessario difendersi dalle truffe in agguato, soprattutto quando si stipula una polizza on line.
Lo stesso IVASS, l’Istituto per la Vigilanza delle Assicurazioni, mette in guardia i consumatori, invitandoli a diffidare da offerte apparentemente fin troppo convenienti, dietro le quali si nascondono pericolose insidie: da false compagnie (spesso in fase di liquidazione) ad alcune straniere che illegalmente stipulano polizze non valide sul territorio italiano, fino ad agenti assicurativi che operano per loro conto sotto nomi somiglianti a quelli di compagnie vere e serie. La fantasia truffaldina spazia fino a concepire di accollare al malcapitato di turno un incidente mai avvenuto, magari con la connivenza di qualche falso testimone, così da aumentare “legalmente” la classe di merito e, quindi, il premio da pagare.
Dietro allettanti promesse di interessanti risparmi possono nascondersi inganni e frodi dai quali bisogna imparare a difendersi. Del resto, di pari passo con le importanti conquiste e gli innegabili vantaggi, l’universo web può costituire un ottimo terreno fertile per i truffatori che, protetti da uno schermo, possono riuscire ad ingannare chi si metta alla ricerca delle offerte più vantaggiose.
Le truffe più frequenti ovviamente sono quelle sulle polizze RC auto, perché obbligatorie e, di conseguenza, oggetto da un lato di necessità di risparmio per il consumatore e dall’altro di prodotti invitanti per i falsi intermediari di assicurazioni.
Vediamo, dunque, le principali accortezze da adottare prima di sottoscrivere una polizza on line.
Innanzitutto, come detto, sul sito dell’IVASS è possibile consultare l’elenco delle imprese italiane ed estere autorizzate ad esercitare nel ramo RC Auto in Italia.
Sui siti internet degli intermediari online devono sempre essere forniti:
In conclusione: assicuriamoci di assicurarci davvero!
A cura di: Studio Spinapolice & Partners
Un giudizio che potrebbe rappresentare un importante precedente per i tanti investitori rimasti con azioni illiquide e quotate oggi sul mercato HiMtf a un prezzo molto inferiore rispetto a quello di acquisto.
L’ACF ha accertato che nelle vicende prospettate vi erano state numerose violazioni della normativa a tutela dei risparmiatori. Soprattutto ha valutato che la mera consegna o la dichiarazione del cliente di aver preso visione dei documenti, non si traduce in via automatica nell’adempimento da parte della banca degli obblighi informativi, previsti dagli artt. 31 e 32 del Regolamento Consob 2007.
Come in altre decisioni, l’arbitro ha osservato che la mera consegna o la dichiarazione del cliente di aver preso visione del Documento di Registrazione, della Nota Informativa, della Nota di Sintesi e dei Fattori di rischio, non si traduce sic et simpliciter nell’adempimento degli obblighi informativi. Infatti scrive il collegio: “ […] gli obblighi informativi degli intermediari verso i propri clienti si inseriscono in un quadro normativo la cui pietra angolare risiede proprio nella capacità di “servire al meglio l’interesse” del cliente, adattando la prestazione erogata in ragione delle specifiche caratteristiche del contraente (esperienza, conoscenza, obiettivi di investimento, situazione patrimoniale)”.
Precisa il collegio che sugli intermediari grava anche un generale obbligo di profilatura dei prodotti offerti, per valutare, in concreto, la loro adeguatezza rispetto al profilo di rischio del cliente.
Riguardo alle azioni delle azioni della Banca Popolare di Bari il collegio nutre forti perplessità sulla fatto che il rischio connesso alle azioni possa essere stato valutato come “medio”.
Tale valutazione non è condivisibile perché, come sottolinea l’arbitro, si tratta, comunque, di quote di capitale di rischio e, ancor più, di strumenti illiquidi che, in quanto tali, tipicamente espongono il cliente non solo al rischio di perdita dell’intero capitale investito ma anche a quello, ulteriore, di non riuscire ad operare disinvestimenti, come d’altronde effettivamente accade per tutti gli azionisti della Popolare di Bari.
Non è la prima volta che l’ACF condanna la banca pugliese a risarcire i clienti, confermando le molte criticità connesse al collocamento delle azioni della Banca Popolare di Bari, ma anche di altre banche non quotate. I profili di scorrettezze possono essere fatti valere dai clienti presso gli organi giudiziari o arbitrali per chiedere l’invalidità del contratto, e quindi la restituzione dell’investimento o il risarcimento del danno subito.
In questi casi l’ACF ha calcolato il danno nella differenza fra la somma che gli azionisti avevano pagato per comprare le azioni ed il valore presumibile di smobilizzo dell’azione sul mercato secondario Hi-MTF (euro 5,70). Il tutto oltre interessi legali.
Tuttavia il danno effettivo per il cliente può essere molto maggiore perché non si sa se sarà effettivamente possibile smobilizzare l’investimento a tale prezzo. Gli scambi sul mercato HiMtf sono infatti ben pochi per offrire sufficienti garanzie di liquidabilità.
Ricordiamo che sono circa 70mila gli azionisti di Banca Popolare di Bari rimasti incastrati in azioni acquistate quasi tutte al prezzo di 9,53 euro, e attualmente invendibili e comunque con un prezzo teorico molto inferiore.
A cura di: Studio Spinapolice & Partners
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