ANNO XII - &MAGAZINE - 

Forex e manipolazioni.

La Commissione Europea ha inflitto  multe per oltre un miliardo di euro totale a vari istituti finanziari che si occupano di Forex.

A seguito di quanto ricostruito dall’Antitrust, infatti, è risultato che i trader delle banche oggi multate si scambiavano informazioni sensibili sulle scelte riguardo il mercato dello scambio di valute, incidendo così sull’andamento dei movimenti del Forex. In sostanza si tratta di collusione per aver influenzato in contemporanea i tassi di riferimento allineando posizioni, spingendo le transazioni sul mercato e annientando di fatto la concorrenza nel mercato delle valute.

Organizzati a mezzo chat online, i trader coinvolti nella truffa facevano cartello su diverse coppie di valute, dall’euro, alla sterlina, al dollaro USA, canadese e australiano, yen, franchi svizzeri, ed altre ancora.

Nel gennaio 2014 uscì la notizia che Deutsche Bank aveva ammesso di aver fatto parte del grande cartello di Walll Street, con altri istituti di investimento internazionali, e di aver manipolato il prezzo di oro e argento. Inoltre, transò in una causa presso un tribunale degli Stati Uniti, accettando di nominare le altri grandi banche coinvolte nel metodo criminoso.

Nel 2015 era quindi scoppiato uno scandalo che aveva visto coinvolte 4 banche su 6 delle più grandi al mondo, indagate dagli investigatori antitrust negli USA. Pagarono oltre 5 miliardi di dollari allora, ma evidentemente i guadagni ottenuti con le frodi relative alla manipolazione dei tassi di scambio e di interesse sono molto più alti delle sanzioni che si rischiano.

Tra gli istituti finanziari colpiti dal provvedimento attuale, infatti, ritroviamo Barclays, RBS, JP Morgan e Citigroup che si mostrano recidivi ad un sistema di speculazione finanziaria fraudolenta.

Margrethe Vestager, la Commissaria alla Concorrenza, ha dichiarato che questa sanzione europea “manda un messaggio chiaro” e chela Commissione non lascerà passare comportamenti collusivi in alcun settore dei mercati finanziari”. perché “Il comportamento di questi istituti ha minato l'integrità del settore a spesa dell'economia europea e dei consumatori".

Poiché, leggendo le notizie in argomento degli ultimi anni nonché i picchi anomali giornalieri sui grafici, risulta chiaro che questa attitudine ad affari illeciti sicuri attraverso la manipolazione è assai più diffusa di quanto non risulti dai casi emersi, è proprio il caso di dire che “il banco (anzi le banche…) vince sempre”, nonostante il rischio sanzioni.

 

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Impossibile non tornare ad occuparsi di Banca Carige, dopo l’improvviso ritiro di BlackRock.

Mentre la prospettiva di un intervento di Stato, a pochi giorni dalla tornata elettorale delle Europee, si fa sempre più plausibile, il Fondo Interbancario “congela” la conversione in capitale del bond da 312,8 milioni (che era stato sottoscritto ad ottobre scorso per consentire alla banca ligure di rientrare nei parametri della Bce), in attesa di un altro ipotetico investitore.

Del resto, è bene ricordarlo, lo schema previsto era quello di un intervento del Fidt a fianco di un investitore forte. Blackrockavrebbe dovuto apportare 400 milioni, diventando di fatto il proprietario di Carige. Il resto sarebbe stato coperto dal Fondo e una parte residuale, intorno ai 50 milioni, sarebbe rimasta a carico dei Malacalza.

Adesso, con la marcia indietro del fondo statunitense, il Fondo Interbancario vuole attendere un eventuale nuovo soggetto disposto a farsi carico  del grosso dell’operazione salvataggio.

A questo punto, la palla passa nuovamente ai commissari che dovranno trovare  velocemente un altro soggetto –fondo o banca che sia- disposto a dare il suo massimo contributo, pari ad almeno 630 milioni, ad un forte piano industriale di rilancio di Carige. A quel punto, anche il Fidt potrebbe tornare sui suoi passi e decidere di convertire il bond in capitale.

In questo difficile contesto, non poteva mancare la voce di Moody’s che ha espresso la sua preoccupazione dopo la rinuncia di BlackRock, considerata una premessa non favorevole per altri tentativi di capitalizzazione privata.

Restiamo, quindi, in attesa dei prossimi sviluppi di questa complessa vicenda il cui protagonista è uno degli istituti bancari più antichi al mondo.

 

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Carige: Blackrock batte in ritirata.

E’ la notizia del giorno: BlackRock, il più grande asset manager al mondo,  non  parteciperà al salvataggio di Carige.

Contrariamente a quanto sembrava pochi giorni fa, il fondo americano si è tirato indietro. Lo si è appreso stamattina da una nota dei commissari Pietro Modiano, Fabio Innocenzi e Raffaele Lerner, con cui si spiegava che “al termine di un’articolata fase preparatoria nell’ambito della quale si inquadra la delibera del consiglio di gestione dello Schema volontario di lunedì, il fondo BlackRock ha ritenuto di non dare ulteriore corso alla sua iniziale manifestazione di interesse”. Ai sindacati, hanno poi ribadito che “proseguono le valutazioni riguardanti ulteriori soluzioni di mercato finalizzate ad assicurare stabilità e rilancio di Banca Carige”.

Non si conoscono le motivazioni che hanno portato alla rinuncia da parte di BlackRock.

E adesso, che accadrà? Da mesi assistiamo a un balletto di dichiarazioni  per il salvataggio privato della banca ligure; oggi questo appare assai difficile. Le nubi di un probabile salvataggio di stato, modello MPS, incombono minacciose. Del resto, questo prevedeva il decreto su Carige (II titolo del DL 8 gennaio 2019), oggi citato da più fonti, che consente l’eventuale avvio dell’iter per la richiesta di ricapitalizzazione precauzionale al Ministro dell’Economia, autorizzato a sottoscrivere azioni di Carige fino a 1miliardo di euro.

L’alternativa è, come fu per le banche venete, la liquidazione coatta amministrativa. In entrambi i casi, comunque, non dovrebbero esserci conseguenze per i correntisti né per gli obbligazionisti subordinati, dato che non ci sono più bond di Carige in circolazione.

L’unica cosa certa, al momento, è che gli oltre 300 milioni di euro messi in Carige dal Fondo Interbancario di tutela dei depositi (Fidt), sotto forma di obbligazione subordinata, sono praticamente carta straccia. Chi pagherà questo danno? I clienti delle banche che hanno messo quei soldi, ovviamente, perché, per recuperare le perdite, gli istituti bancari sicuramente alzeranno i costi di commissioni e servizi. Un costume diffuso in Italia, insieme a quello del salvataggio pubblico di aziende decotte, siano Alitalia, MPS, Carige, o chi per esse.

Non dimentichiamo, però, che siamo in piena campagna elettorale per le prossime europee e questo ulteriore, quasi certo, inevitabile utilizzo di risorse di Stato per salvare una banca, diverrà oggetto delle solite strumentalizzazioni di parte. Tanto, pagano sempre gli stessi: i contribuenti.

 

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Carige: salvataggio da fare.

Quanto avevamo anticipato come ipotesi più accreditata neanche un mese fa, sembra essere ad un passo dalla sua realizzazione: il salvataggio di Carige potrebbe essere questione di ore.

BlackRock ha avuto il benestare di Bankitalia nonché il placet del ministro dell’Economia Giovanni Tria, il quale ha dichiarato: “L’interesse manifestato da un investitore istituzionale di standing internazionale come BlackRock, tra l’altro già presente nel capitale di altre banche italiane e supportato da un adeguato piano industriale, è un buon segnale in questa direzione  e una garanzia per il rilancio della banca…Ribadisco l’auspicio di una soluzione privata per Banca Carige”.

Anche il presidente della regione Liguria, Giovanni Toti,  si è espresso positivamente su quanto dichiarato dal ministro Tria, commentando “….il ministro si è pronunciato sull’ipotesi di un partner privato delle dimensioni e della credibilità di BlackRock. Si tratta adesso di dare tutto il supporto ai commissari affinchè il salvataggio della banca diventi concreto. La preoccupazione dei sindacati è assolutanente comprensibile, li ho incontrati e gli ho assicurato tutta l’attenzione degli enti locali”.

E’ opportuno ricordare che il Parlamento ha recentemente  convertito in legge il decreto approvato dal governo a gennaio, che prevede una serie di misure di salvaguardia per Banca Carige commissariata, non esclusa l’eventuale ricapitalizzazione di Stato fino a 1miliardo, da concretizzarsi con la sottoscrizione di azioni del Mef entro il 30 settembre. La soluzione privata, pertanto, è senza dubbio da considerarsi positivamente.

La settimana che inizia col 6 maggio vedrà innanzitutto l’incontro con i sindacati, all’insegna di un segnale di apertura da parte di Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, che, in un’intervista a Il Sole 24 Ore, è parso più disponibile verso l’offerta del fondo di Larry Fink, cofondatore e presidente del colosso finanziario americano.

I dettagli non sono stati ancora precisati, ma sembrerebbe che il futuro di circa 2mila dipendenti su 4300 potrebbe essere a rischio, stante la necessità di ridurre drasticamente i costi puntando su una gestione leggera e tecnologica. Questo sarà sicuramente l’argomento più spinoso sul tavolo delle trattative sindacali.

Inoltre, sempre nei prossimi giorni, si riunirà il consiglio del Fondo Interbancario di Tutela dei depositi (Fitd), che dovrà convocare l’assemblea degli istituti bancari per ottenere l’approvazione al progetto di conversione dei bond  (320 milioni) in equity, cioè la trasformazione del debito in capitale. Come aveva precisato tempo fa il presidente del Fidt Salvatore Maccarone, la volontà sarebbe quella di non assumere il controllo della banca ligure, ma di rimanere sotto al 50% .

Se l’operazione BlackRock andrà in porto –del resto, questa è l’unica possibilità concreta-, sarà la prima volta che il fondo americano entrerà in forze in un istituto bancario italiano.

Come accennato, non si conoscono ancora i particolari dell’operazione, ma la ricapitalizzazione complessiva della banca potrebbe arrivare intorno ai 700milioni, dopo un aumento di capitale di circa 400milioni.

 

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Dopo la fattura, c'è lo scontrino elettronico.

Iniziata quasi in sordina con l’obbligo della fatturazione elettronica, la rivoluzione fiscale tutta italiana prosegue con scontrini e ricevute elettroniche.

Dal prossimo luglio, infatti, i negozi e gli esercenti con volume d’affari superiore a 400mila euro dovranno emettere ogni documento inerente i corrispettivi nel formato elettronico. In pratica, giornalmente i dati dei corrispettivi verranno memorizzati e poi inviati online all’Agenzia delle Entrate.

Dal 1° gennaio 2020 l’obbligo subentrerà anche per tutti gli altri operatori di commercio al minuto e attività assimilate (in base all’art. 22 del Dpr 633/1972, che è il decreto IVA), sebbene con modalità graduali –a mezzo appositi decreti ministeriali- secondo il tipo di attività esercitata e il livello di connettività della zona in cui si opera.

Qualora all’atto dell’acquisto il cliente non chieda espressamente l’emissione di una fattura (ovviamente elettronica), dovrà ricevere comunque un documento commerciale, valido anche per l’esercizio dei diritti di garanzia del prodotto. Sempre su richiesta del cliente, sarà possibile inserire il codice fiscale o la partita iva dell’acquirente. In tal modo, il documento avrà anche valenza fiscale e potrà essere portato in deduzione, se previsto, all’atto della dichiarazione dei redditi. L’Agenzia delle Entrate, infatti,  sarà automaticamente in possesso dei dati non solo del venditore, ma anche dell’acquirente.

Il nuovo scontrino digitale verrà emesso da speciali registratori di cassa, idonei ad inviare i dati inseriti all’Agenzia delle Entrate, dei quali si dovranno dotare gli esercenti a proprie spese, salvo un’agevolazione, sotto forma di credito di imposta, pari al 50% della spesa sostenuta a tale scopo, per un massimo di 250 euro, in caso di acquisto, e di 50 euro, in caso di adattamento di ogni misuratore fiscale. Il credito di imposta così risultante potrà essere utilizzato in compensazione, tramite modello F24, dalla prima liquidazione periodica IVA successiva al mese cui fa riferimento la fattura di acquisto o adattamento del registratore di cassa.

Resta il problema della , indispensabile per la trasmissione giornaliera dei dati. Oltre le difficoltà di connessione, ancora presenti in molte zone d’Italia, il costo della linea telefonica o della SIM dati necessaria sarà a totale carico del commerciante/artigiano.

Non è ancora definitivamente divulgata la lista degli esenzioni, che sembrerebbe però riguardare tutte le categorie già esonerate nel Dpr 696 del 1996: tabaccai, tassisti, NCC, benzinai, produttori agricoli, notai, piccoli artigiani come arrotini, sarte, calzolai, ecc. e tutti coloro che svolgono il loro lavoro presso i clienti, come imbianchini, muratori, idraulici, venditori ambulanti di bibite e affini.

Questo passaggio dallo scontrino/ricevuta cartaceo a quello elettronico, dopo l’avvio della fattura elettronica, è volto a completare il processo di certificazione fiscale ed è uno degli interventi digitali “anti-evasione” previsti nell’articolo 9 della delega fiscale e nel nuovo decreto fiscale 2019, collegato alla legge di bilancio. L’obiettivo è semplificare (davvero?) e armonizzare i processi di certificazione dei corrispettivi nonché controllare e contrastare l’evasione fiscale.

Molti i malumori e la preoccupazione tra le categorie interessate. “Nel nostro Paese si continua a colpire chi, nonostante il momento economico sfavorevole e le tante difficoltà del sistema, non si arrende ancora e con la sua attività produce reddito (sempre meno) e quindi gettito fiscale (sempre di più) nonché posti di lavoro. Non hanno capito che se incrociamo le braccia noi l’Italia crolla?” così si sfoga un piccolo commerciante di una località in provincia di Viterbo quando gli faccio la domanda sull’argomento “scontrino fiscale”. E un carrozziere nella periferia romana mi dice: “Sono stanco di inseguire i continui cambiamenti delle regole, sempre più confuse e macchinose. Fanno bene tanti miei colleghi che lavorano in nero, se li beccano una volta, hanno comunque risparmiato rispetto a quello che spendo io fra tasse e commercialista che, ormai, devo sentire tutti i giorni per aiutarmi. Io faccio il carrozziere perché mi piace e perché non avevo voglia di proseguire gli studi. Non capisco niente di contabilità e mastico poco di computer…”. Un ristoratore di una località in provincia di Roma mi dice: “Sto pensando seriamente di andarmene e aprire un ristorante a New York. Il nostro è un lavoro bellissimo, ma anche molto faticoso, che impegna quasi tutto l’arco della giornata e fino a notte. Sono stanco di combattere tutti i giorni con commercialisti, tecnici informatici e simili per cercare di osservare regole sempre più assurde e sempre a spese nostre!”. Non so cosa rispondere, annuisco in silenzio e ci rifletto su…

Sarà l’ennesimo ostacolo al lavoro di piccole imprese, commercianti ed artigiani? Il dubbio c’è.

Una cosa, però, è certa: chi evadeva non rilasciando scontrini, ricevute fiscali e/o fatture potrà tranquillamente continuare a farlo, mentre coloro che cercano,  con grande fatica, di portare avanti una piccola azienda, nel rispetto delle regole, dovranno affrontare una difficoltà in più (molti piccoli esercenti non sono pronti a livello tecnologico, ad esempio) e, tanto per cambiare, a proprie spese.

E pensare che questa serie di provvedimenti di controllo fiscale viene propagandata, anche da molti quotidiani, solo come positiva (magari, aspetti positivi ci sono anche, non dico di no), ma nessuno prova ad ascoltare le tante persone che, ancora una volta, si sentono colpite e sono stanche, molto stanche di lavorare in un sistema che sentono nemico, ma nonostante tutto ancora vanno avanti. Si, ma per quanto?

 

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