ANNO XII - &MAGAZINE - 

Cassazione: la corretta qualificazione dei finanziamenti per l'applicazione dei tassi d’usura.

Cassazione: la corretta qualificazione dei finanziamenti tra privati è decisiva per l'applicazione dei tassi d’usura.

La Corte Suprema di Cassazione, con l’ordinanza n. 24370/2024, ha affrontato un caso particolarmente rilevante in materia di finanziamento tra privati e tassi di usura, stabilendo criteri chiari per la qualificazione giuridica di queste operazioni finanziarie. In particolare, la decisione si è soffermata sulla necessità di distinguere correttamente le tipologie di prestito, al fine di determinare l'eventuale sussistenza di interessi usurari.

Il caso in esame

La controversia verteva su un prestito stipulato tra privati, in cui il debitore era stato condannato a restituire una somma maggiorata di interessi. La sentenza di primo grado aveva rilevato che il tasso d’interesse fissato era usurario, basandosi sui parametri stabiliti per i mutui. Tuttavia, la Corte d'Appello di Ancona aveva ritenuto che la natura del contratto fosse da ricondurre alla categoria degli altri finanziamenti a breve o medio/lungo termine, respingendo l’accusa di usura.

Il debitore ha successivamente presentato ricorso in Cassazione, contestando la qualificazione giuridica del contratto operata dalla Corte d’Appello e la mancata applicazione dei limiti d’usura previsti per i mutui.

La qualificazione del finanziamento e i tassi d’usura

La Cassazione, accogliendo in parte il ricorso, ha ribadito che la corretta qualificazione giuridica di un finanziamento tra privati è essenziale per stabilire il tasso soglia di usura applicabile. In particolare, il giudice di merito deve valutare se il contratto debba essere considerato un mutuo o rientri nella categoria degli "altri finanziamenti", in base alle caratteristiche del prestito. La decisione ha sottolineato che:

  1. Il tasso di usura deve essere determinato in base alla categoria specifica in cui rientra l’operazione. Le categorie previste dai Decreti Ministeriali per la rilevazione dei tassi medi variano, ed è compito del giudice individuare quella corretta.
  2. Nei finanziamenti tra privati, la qualificazione deve tenere conto di fattori come la natura del contratto, le modalità di rimborso, la presenza o meno di garanzie reali, e il tasso d’interesse pattuito.

Finanziamento chirografario e usura soggettiva

Nel caso in esame, la Corte ha rilevato che la classificazione del prestito come finanziamento chirografario non era corretta, poiché erano state rilasciate cambiali a garanzia. Inoltre, la Corte ha escluso la sussistenza dell'usura soggettiva, in quanto non era stata dimostrata una situazione di difficoltà economica o sproporzione evidente tra il prestito e gli interessi richiesti.

Le implicazioni della sentenza

Questa ordinanza rappresenta un importante riferimento per la giurisprudenza in materia di usura nei finanziamenti tra privati. La Cassazione ha chiarito che i giudici devono sempre valutare attentamente la tipologia di operazione finanziaria in questione e applicare i tassi soglia in modo appropriato, evitando interpretazioni generalizzate che potrebbero portare a errori di qualificazione e, quindi, a decisioni errate sull'usura.

In conclusione, la sentenza rafforza l’importanza di una corretta interpretazione giuridica nei finanziamenti privati, un settore che, pur non essendo soggetto alle stesse regole dei prestiti bancari, richiede comunque una regolamentazione precisa per tutelare entrambe le parti coinvolte.


La Cassazione chiarisce i doveri di vigilanza dei sindaci nelle banche

La Cassazione chiarisce i doveri di vigilanza dei sindaci nelle banche: attivazione dei poteri di controllo in caso di illeciti.

Con l'ordinanza n. 24370/2024, la Corte di Cassazione ha stabilito che, in presenza di indici di illeciti compiuti dagli amministratori di una banca, i sindaci hanno l'obbligo di attivare i loro poteri di controllo per evitare di essere ritenuti responsabili. Non è sufficiente che i sindaci affermino di essere stati tenuti all'oscuro delle attività illecite: devono dimostrare di aver vigilato in modo adeguato e proattivo.

Il ruolo cruciale dei sindaci nella vigilanza.

Secondo la Cassazione, il comportamento inerte dei sindaci comporta una mancata vigilanza sulle attività della banca. In questi casi, i sindaci sono tenuti a esercitare i loro poteri di controllo per verificare eventuali anomalie e, se necessario, intervenire tempestivamente per prevenirne le conseguenze dannose. L'attivazione dei poteri di controllo, infatti, avrebbe potuto permettere di individuare le condotte illecite e di adottare le misure necessarie per contenerne gli effetti negativi.

Gli indici rivelatori di illeciti.

Nel caso specifico trattato dalla Cassazione, i giudici hanno individuato una serie di indici rivelatori che avrebbero dovuto allertare i sindaci e spingerli a un maggiore sforzo di vigilanza:

  • L'importanza dell'operazione realizzata per il futuro della banca, che richiedeva un esame approfondito.
  • La sommarietà delle comunicazioni fornite dagli organi operativi, indicative di possibili lacune informative.
  • La sollecitazione da parte della Banca d'Italia, che aveva esortato l'organo di controllo a un'analisi più accurata.

Questi elementi avrebbero dovuto portare i sindaci a esercitare i loro poteri di vigilanza con maggiore attenzione, secondo i doveri imposti dalla loro carica.

Le implicazioni della sentenza.

La pronuncia della Cassazione sottolinea l'importanza del ruolo attivo dei sindaci nelle banche, soprattutto in situazioni in cui vi sono segnali che indicano potenziali irregolarità. Essi non possono sottrarsi alle loro responsabilità dichiarando di non essere stati informati, ma devono sempre adottare tutte le misure necessarie per garantire una vigilanza efficace e tempestiva.


San Marino: truffe online mettono a rischio la reputazione del Paese.

I consumatori richiedono interventi urgenti

Le truffe online rappresentano una crescente minaccia per la reputazione di San Marino, con un impatto significativo non solo sui consumatori, ma anche sull’immagine del Paese come centro economico. Le tre principali Assoconsumatori sammarinesi hanno recentemente chiesto un incontro urgente con il nuovo Segretario per l’Industria, per discutere delle problematiche legate alla proliferazione di aziende che sfruttano il territorio per attività fraudolente.

Queste aziende, come denunciato dalle associazioni, pubblicizzano prodotti sui social media, per poi consegnare merce difforme o non corrispondente alle aspettative. I consumatori, in particolare residenti in Italia, incontrano enormi difficoltà nell’esercitare il diritto di recesso, nonostante la normativa imponga la trasparenza dei contatti aziendali. Le tre associazioni – Unione Consumatori Sammarinesi (Ucs), Asdico e Sportello Consumatori – hanno rilevato come molti di questi operatori si sottraggano agli obblighi di legge, rendendo irraggiungibili i propri recapiti telefonici.

Un'interpretazione normativa che favorisce le frodi

Un altro punto di criticità segnalato è legato alle vendite effettuate attraverso contatti telefonici. Queste transazioni, nonostante siano iniziate tramite canali online, vengono classificate come "televendite" e, pertanto, sottratte alle normative più stringenti che regolano le vendite digitali. "Un’interpretazione a nostro avviso inaccettabile", dichiarano le associazioni, "che permette ai truffatori di sfuggire alle proprie responsabilità legali".

Impatto sulle piattaforme digitali e reputazione di San Marino

Con l’alta penetrazione dei social media a San Marino, dove Facebook e Instagram contano decine di migliaia di utenti, il rischio di truffe digitali è aumentato esponenzialmente. Le aziende fraudolente sfruttano queste piattaforme per ingannare consumatori ignari, minando così la fiducia non solo nelle piattaforme stesse, ma anche nella capacità del Paese di contrastare queste pratiche. Questo ha alimentato la necessità di un quadro normativo più rigido e di controlli più severi.

Le pressioni internazionali sul sistema di regolamentazione di San Marino

San Marino è già sotto osservazione a livello internazionale per la sua regolamentazione finanziaria. Il Consiglio d’Europa, attraverso il suo organismo di controllo anti-riciclaggio MONEYVAL, ha elogiato i progressi del Paese nel combattere il riciclaggio di denaro, ma ha sollecitato ulteriori miglioramenti. In particolare, sono state richieste azioni più incisive per rafforzare le indagini sui crimini finanziari e aumentare le sanzioni per chi viene riconosciuto colpevole​.

La Financial Action Task Force (FATF), che monitora i rischi finanziari a livello globale, ha raccomandato di aumentare la sorveglianza sulle transazioni sospette e di rafforzare le misure di compliance per prevenire l’abuso del sistema finanziario sammarinese. Questa situazione evidenzia come San Marino debba affrontare sfide non solo interne, ma anche legate alle pressioni esterne per mantenere il proprio sistema finanziario sicuro e affidabile.

La risposta delle istituzioni sammarinesi

Il neo Segretario per l’Industria è ora chiamato a rispondere alle preoccupazioni delle associazioni dei consumatori, che chiedono un intervento immediato per contrastare queste pratiche fraudolente. "Non possiamo più tollerare che sul nostro territorio operino realtà che minano la nostra reputazione", hanno dichiarato. La questione è ormai diventata una priorità, non solo per proteggere i consumatori, ma anche per tutelare l’immagine del Paese sul piano internazionale.

San Marino, con la sua lunga storia di neutralità e di economia fiorente, rischia di vedere la propria immagine offuscata da queste truffe, rendendo urgente una risposta decisa da parte delle autorità.


MPS condannata a risarcire gli investitori: un precedente importante per il settore bancario

La Corte d’Appello di Firenze ha recentemente emesso una sentenza cruciale che obbliga il Monte dei Paschi di Siena (MPS) a risarcire una coppia di risparmiatori toscani con una somma fino a 150.000 euro. La sentenza, datata 6 agosto 2024, ha ribaltato una precedente decisione del Tribunale di Pisa che aveva dato ragione alla banca, sancendo una svolta nel panorama delle dispute finanziarie in Italia. Al centro della controversia, vi è il mancato rispetto degli obblighi informativi da parte dell’istituto bancario nella vendita di bond subordinati, un prodotto ad alto rischio, ai clienti.

Il cuore della vicenda: l'acquisto dei bond subordinati.

Il caso risale al 2011, quando la coppia aveva investito circa 200.000 euro in bond subordinati emessi da MPS. Questi titoli, caratterizzati da un elevato livello di rischio, furono venduti attraverso l’intermediazione della banca. Tuttavia, con la crisi finanziaria che ha colpito MPS negli anni successivi, i bond furono convertiti in azioni nel 2017 tramite il meccanismo del burden sharing, un provvedimento volto a condividere le perdite tra investitori e la banca stessa. Questa conversione ha portato a una significativa perdita di valore per i risparmiatori, inclusa la coppia toscana, che si è ritrovata con azioni fortemente svalutate.

La sentenza: mancata trasparenza e obblighi informativi.

La Corte d’Appello di Firenze ha sottolineato come MPS non abbia adempiuto ai suoi obblighi informativi, omettendo di fornire ai risparmiatori una spiegazione adeguata sui rischi connessi all’acquisto di bond subordinati. La banca, secondo la Corte, avrebbe dovuto informare in modo completo e dettagliato anche quei clienti con una maggiore propensione al rischio, affinché fossero in grado di valutare con piena consapevolezza la natura dell'investimento. Il principio guida della sentenza, già ribadito dalla Corte di Cassazione, è che le banche hanno l’onere di dimostrare di aver rispettato i propri doveri informativi verso i clienti, indipendentemente dal loro profilo di rischio.

Il risarcimento e le implicazioni della sentenza.

La Corte ha quindi stabilito che la coppia avesse diritto a un risarcimento di 150.000 euro, ridotto di circa 50.000 euro già percepiti come cedole prima della conversione dei bond in azioni. Questa decisione rappresenta una vittoria importante per i risparmiatori e crea un precedente che potrebbe aprire la strada ad altre cause simili contro MPS o altri istituti di credito. Infatti, il principio sancito dalla Corte si applica non solo a coloro che hanno una bassa propensione al rischio, ma anche agli investitori con un profilo più speculativo, che devono comunque essere informati adeguatamente sui rischi connessi a qualsiasi operazione.

Il contesto più ampio: il settore bancario e i bond subordinati.

Il caso MPS si inserisce in un contesto più ampio di controversie legate alla vendita di bond subordinati, prodotti finanziari che, sebbene offrano rendimenti più elevati rispetto ai titoli tradizionali, comportano rischi notevolmente superiori. La crisi di MPS e di altre banche italiane ha portato molte famiglie e piccoli risparmiatori a subire perdite ingenti, soprattutto in seguito alle misure di salvataggio bancario che hanno implicato la conversione dei bond in azioni con valore significativamente ridotto.

Questi casi hanno evidenziato la necessità di una maggiore trasparenza da parte delle banche nella vendita di prodotti finanziari complessi e hanno spinto le autorità di regolamentazione e i tribunali a tutelare con maggiore attenzione i diritti dei risparmiatori.

Le prospettive future.

La sentenza della Corte d’Appello di Firenze potrebbe aprire la strada a nuovi ricorsi contro MPS e altre banche che hanno venduto bond subordinati senza fornire adeguate informazioni sui rischi. Il caso rappresenta un monito per il settore bancario, chiamato a garantire una maggiore trasparenza e a tutelare gli interessi dei clienti, evitando il ripetersi di situazioni simili in futuro. Per i risparmiatori, questa decisione rappresenta una possibilità concreta di ottenere giustizia in casi di perdite legate a investimenti rischiosi.


PER LA CASSAZIONE LE CRIPTOVALUTE SONO UNO STRUMENTO DI INVESTIMENTO E CHI LE PROMUOVE SENZA AUTORIZZAZIONE COMMETTE REATO.

Nella sentenza n. 44378 del 22 novembre 2022, la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha ribadito un principio già espresso precedentemente nel 2020 (si veda la sentenza Cassazione n° 26807/2020): la vendita di criptovalute in Italia, presentata come un'opportunità di investimento, costituisce un'attività di offerta al pubblico, soggetta al controllo della Consob per la tutela degli investitori e alle relative norme del Testo Unico della Finanza (TUF).

La sentenza della Cassazione sottolinea come ove la vendita di criptovalute viene promossa come un'effettiva proposta di investimento, debba essere soggetta agli obblighi previsti dagli articoli 91 e successivi del TUF.

Di conseguenza, l'esercizio di tale attività senza le dovute autorizzazioni e requisiti legali costituisce un illecito, e coloro che promuovono o vendono criptovalute, anche tramite mezzi di comunicazione a distanza, sono soggetti al reato di esercizio abusivo di attività finanziaria.

Questo reato è punibile con una pena detentiva che va da uno a otto anni e una multa che varia tra quattromila e diecimila euro (articolo 166, comma 1, lett. c del D.Lgs. 58/1998).

Le caratteristiche delle criptovalute come forma di investimento finanziario sono richiamate dai giudici di legittimità, che fanno riferimento alla sentenza del Tribunale di Verona del 24 gennaio 2017. Secondo tale sentenza, l'acquisto di criptovalute su una piattaforma di scambio (exchange) presenta i tratti distintivi di un investimento finanziario, i quali includono:

  • L'impiego di capitali.
  • Un'aspettativa di rendimento.
  • Un rischio correlato all'attività di investimento, legato al capitale impiegato.

Con la presenza di questi tre elementi: “la valuta virtuale deve essere considerata strumento di investimento perché consiste in un prodotto finanziario, per cui deve essere disciplinata con le norme in tema di intermediazione finanziaria (art. 94 e se. TUF)"

La Suprema Corte sottolinea l'importanza della tutela speciale per gli investimenti in criptovalute. Quando le criptovalute non vengono utilizzate per transazioni di beni o servizi, ma vengono acquistate con lo scopo di investimento, devono essere considerate a tutti gli effetti prodotti finanziari soggetti alla normativa di protezione degli investitori e dei mercati.

Questa normativa include gli obblighi relativi all'intermediazione finanziaria, in particolare per quanto riguarda il regime di offerta al pubblico disciplinato dal Testo Unico della Finanza (TUF), negli articoli 94 e seguenti.

Al di là dei dettagli tecnici, giuridici e della già dichiarata equiparazione delle criptovalute ai prodotti finanziari, dalla lettura dell’ordinanza in commento sembra emergere un chiaro orientamento dalla Corte.

Tale orientamento mira a far valutare ai giudici penali di merito l'offerta e la promozione delle criptovalute in Italia secondo le normative contro l'abusivismo finanziario.

In base a questa direzione giuridica, tutti i soggetti anche persone fisiche, sia italiani che stranieri, possono essere perseguibili penalmente se promuovono come investimento le criptovalute in Italia, senza rispettare la normativa a tutela degli investitori e del mercato finanziario italiano, oltre alle leggi contro il riciclaggio di denaro.


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