Antonio Albanese, ottimo regista e attore di Cento Domeniche. La recensione del film

Da commedia gentile ad angosciante tragedia: Antonio Albanese torna nei suoi luoghi d’origine con un film che sa unire l’urgenza del racconto alla sincerità d’esecuzione. I sogni infranti dei piccoli risparmiatori traditi dalle banche di fiducia.

Chi custodisce i nostri tesori non sempre custodisce i nostri sogni. Se ne accorge suo malgrado Antonio (Albanese), per una vita tornitore e operaio di un cantiere nautico, che finalmente sta per coronare il suo desiderio più grande: regalare il ricevimento di matrimonio alla sua unica, amatissima figlia, Emilia (Liliana Bottone).

Potendo contare sui risparmi di una vita, Antonio si ritrova però ben presto al cospetto di una situazione imprevista: la banca di cui è da sempre cliente sembra non navigare in ottime acque, i dipendenti sono sfuggenti e il direttore cambia inspiegabilmente di continuo. Dove sono finiti i suoi soldi? E con essi la possibilità di realizzare quel sogno di cui fantasticava con la figlia sin da quando era piccola?

Antonio Albanese torna alla regia di un lungometraggio (cinque anni dopo Contromano) con Cento domeniche – oggi in Grand Public alla Festa di Roma, dal 23 novembre in sala con Vision Distribution – film che non tradisce l’urgenza dell’attore-regista brianzolo di portare sullo schermo una storia delicata e quanto mai dolorosa.

È la storia – come da dedica finale – di tutte quelle centinaia di migliaia di persone che hanno perso i loro risparmi a seguito dei crac bancari: convinti di essere “semplici” risparmiatori si sono riscoperti invece azionisti di quelle stesse banche, avendo firmato a suo tempo contratti che venivano sottoposti in maniera sbrigativa e, soprattutto, in modo disonesto.

“Per noi la banca era come un confessionale, ci siamo sempre fidati”, dirà Antonio in più di un’occasione: ecco, Cento domeniche (titolo che si riferisce al tempo speso da un suo concittadino per costruire la propria casa) si concentra sul cambio di prospettiva di un uomo dalla quotidianità normale, dalla vita mite e tranquilla, che gioca a bocce con gli amici (Maurizio Donadoni, Martin Chishimba, Bebo Storti), che si prende cura dell’anziana madre (Giulia Lazzarini, al solito encomiabile), costretto al pre-pensionamento ma non per questo restio a tornare a dare una mano in azienda, ancora in buoni rapporti con l’ex datore di lavoro (Elio De Capitani), con l’ex moglie (Sandra Ceccarelli) e amante notturno di una ricca signora (Sandra Toffolatti) sposata con un imprenditore che apre fabbriche in Romania (“per delocalizzare e poi vendere a un fondo, con gli operai che finiranno in fondo a un fondo…).

Un uomo, Antonio, che dall’oggi al domani passa dalla gioia di vedere realizzato un sogno a nottate dove a regnare è invece l’insonnia (dal latino, insomnia, “senza sogni”…), che prima affrontava le giornate con il piglio e l’atteggiamento giusto e che ora, invece, non riesce a pensare ad altro, stretto nella morsa di una situazione apparentemente senza risoluzione.

Albanese (che prima di trovare il successo in tv e a teatro è stato operaio per davvero) è come sempre, forse ancor più del solito, mosso da una sincerità cristallina (e la scelta di aver girato e ambientato il film nei suoi luoghi d’origine, Olginate, Lecco, Garlate e provincia non è affatto casuale): il film ne risente ovviamente in positivo, al netto di qualche momento o situazione che magari potevano essere affrontate in maniera meno netta, ma è evidente che lo spirito dell’opera non è quello di chi cerca l’autorialità a discapito del contenuto.

Cento domeniche, da questo punto di vista, va dritto al punto, in un crescendo che tramuta la commedia gentile dell’inizio ad angosciante tragedia che non può lasciare indifferenti.

Fonte: Cinematografo - di Valerio Sammarco - Link

Truffa romantica

Sono state definite “truffe romantiche” e sono un fenomeno sempre più diffuso in continua ascesa anche grazie all’avanzamento della tecnologia.

Secondo i report della Polizia Postale, ha visto nel 2021 un incremento del 118% rispetto ai casi trattati nel 2020.

L’identikit delle vittime generalmente coincide con persone di età media che si aggira intorno ai 50/60 anni, “vulnerabili”, che escono da situazioni matrimoniali difficili, con relazioni sentimentali finite male e figli ormai grandi e autonomi. Per questo tipo di individui è più facile diventare preda di malfattori, soprattutto tramite chat.

Cosa si nasconde dietro i profili di truffa romantica

Oltre i classici social media anche siti di dating online sono diventati un’enorme rete da pesca per truffatori e malintenzionati. Su queste piattaforme capita spesso di ricevere richieste di contatto da donne in bikini o uomini belli e impossibili. Sono “esche sessuali”, costruite ad arte da organizzazioni criminali. Nel caso delle “esche femminili” si va incontro ad account social con fotografie e immagini provocanti, presentandosi come modelle e, non di rado, come ricche ereditiere. Le “esche maschili” si presentano invece con immagini di uomini molto avvenenti che ricoprono posizioni lavorative di alto livello e fanno credere alla vittima di essere single, vedovi o separati. Spesso si tratta di bot capaci di sostenere una banale discussione in chat ma niente di più. Queste esche cercano di far spogliare le vittime nella chat per usare le foto nude come ricatto. Se non riescono nell’intento, ricorrono a fotomontaggi pornografici della vittima e minacciano la loro divulgazione in caso di rifiuto del pagamento. Si tratta di somme ingenti che, a seconda dei casi e della capacità economica della vittima, possono arrivare a raggiungere le centinaia di migliaia di euro.

 “Fiducia” è la parola chiave dei truffatori

I malfattori, prima di entrare in contatto con la vittima, ne studiano i comportamenti, le abitudini e gli interessi online. Analizzano i contenuti che questa condivide in rete, i like e i commenti che lascia sui social. Tutto questo permette ai malintenzionati di raccogliere informazioni necessarie al fine di instaurare un rapporto confidenziale con la vittima e guadagnarsi così la sua fiducia. Le conseguenze di questi fenomeni sono infatti molto gravi anche a livello psicologico ed emotivo, oltre che economico. La vittima prova quasi sempre una grande vergogna. E si spiega anche così la difficoltà nel denunciare.

Il reato di truffa: che cos’è e gli elementi fondanti

Per definirsi truffa – di cui all’art. 640 c.p. – devono ravvisarsi vari elementi, correlati tra loro:

  • Artifizio o raggiro
  • Induzione in errore della persona offesa
  • Ingiusto danno patrimoniale per la persona offesa
  • Ingiusto vantaggio patrimoniale per l’autore del reato

L’artifizio consiste nella simulazione o dissimulazione della realtà per portare una persona a credere in false circostanze, mentre il raggiro viene attuato esclusivamente attraverso parole o argomentazioni che fanno percepire il falso come vero. Entrambi gli strumenti creano un’errata convinzione, il primo camuffando la realtà, il secondo agendo direttamente sulla psiche della vittima. Questi espedienti, se verificati, devono aver spinto la parte lesa a prendere una certa decisione patrimoniale, anche qualora sembri facile constatare la finalità truffaldina. Secondo principio comune, per definire il rapporto causa-effetto non occorre valutare l’idoneità di per sé dei mezzi adoperati, quanto piuttosto se in concreto si sono rivelati efficaci a trarre in inganno.

Redazione &Magazine - Simona Tenentini

Finale cambiato alla Carmen, protesta il movimento dei bruti.

Il nostro sogno folle da bambini? Cambiare il finale alle storie che ci raccontavano.

Poco importa che fossero favole di Esopo o dei fratelli Grimm. Crescendo, poi, da adolescenti con gli ormoni e gli estrogeni da controllare (o da distribuire, a seconda dei casi…), chissà quante volte abbiamo immaginato di cambiare il finale a un romanzo, a un film e, perché no, a un’opera teatrale.

Così, in nome di una tardiva e mai sopita coscienza lirica parossistica, il sindaco di Firenze Dario Nardella, nel ruolo anche di presidente del Maggio musicale della sua splendida città, ha avallato di cambiare il finale della Carmen, l’opera di Bizet. Motivo? Una irrefrenabile passione per i finali alternativi, come talvolta va di moda negli spettacoli interattivi in cui sono gli spettatori a suggerire i titoli di coda? No. Peggio.

La motivazione (udite udite) è “per denunciare la violenza sulle donne, in aumento in Italia”, quindi per lanciare un messaggio ecumenico, volto alla pax sociale in un momento in cui il Bel Paese è nella convulsa spirale dell’abbrutimento. Al di là di una dichiarazione così spiazzante (e gli siamo grati stavolta al primo cittadino gigliato, infatti rifuggiamo per natura dalle omologazioni), restano le umane e artistiche perplessità. Se qualcuno già suggerisce di cambiare il finale in cui l’agnello mannaro divora l’astuto lupo controbilanciato però da un ipotetico futuro eccesso colposo di legittima difesa, Otello di schiarirsi la pelle (come fece il divo Michael Jackson) per evitare derive razziste, Cappuccetto Rosso di denunciare al Telefono Azzurro le pederastiche pretese del Lupo (ma attenzione al club degli animalisti, che a loro volta potrebbero querelare nonnina e cacciatore per un delitto contro il patrimonio, data la protezione della bestiola…), ascoltiamo le ragioni del sindaco fiorentino.

Lui ha concesso il placet al regista Leo Muscato, che aveva suggerito questo finale dissacrante (relativo all’opera, eh) in cui la Carmen evita la pugnalata di don Josè e lo defunge con una pistolettata, ottenendo così una grande amplificazione mediatica e riportando l’attenzione sulla lirica nazionale (ma non è così, per sua stessa bambinesca ammissione). Ancora: nessuno s’è mai chiesto in queste ore di rovente polemica se Nardella invece avesse consultato in una seduta spiritica l’anima di Georges Bizet, che ha trasformato il sindaco in un rabdomante del finale nuovo per evitare la morte di una donzella concupita dai più? Sarà.

I dubbi restano di fronte alle dichiarazioni del successore di Lorenzo il Magnifico, che avrebbe potuto evitare insieme al regista gli strali della critica se avessero dichiarato che l’opera era solo ispirata alla Carmen di Bizet. Ma torniamo a noi: attenzione ora al movimento spontaneo dei bruti, che ha già avanzato richiesta al Ministero dei beni culturali di cambiare gli happy end di ogni pièce.

 

Palio di San Timoteo: banchetto federiciano a Termoli.

L’evento ideato dalla Pro Loco di Termoli e dall’ associazione Ordo Cavalieri Termole, nelle scorse edizioni ha registrato nel Borgo Medievale, la presenza di migliaia di persone in un solo giorno, l’evento viene proposto a Termoli il 1° week end del mese di Maggio;

Spettacolo nello spettacolo, con un week end ricco di Giochi medievali, degustazioni, corteo. Sbandieratori, musici e incontri a tema tra le mura del Borgo.
Mangiafuoco, giullari, frati, armigeri, e nobili, ti faranno rivivere per una giornata il medioevo, vivendo tra la fantasia e la storia di Termoli.

Tra Leggenda e Storia.

Drammatica è la storia delle reliquie di San Timoteo; nel 365, Artemio, prefetto d’Egitto e plenipotenziario dell’imperatore Costanzo nelle persecuzioni ariane contro cattolici e pagani, le rapì agli Efesini per arricchire insieme a quelle dei SS Andrea e Luca, la basilica degli Apostoli di Costantinopoli costruita dallo stesso Costanzo. In questa basilica che doveva essere riconosciuta come un mausoleo per l’imperatori bizantini le reliquie riposarono per molti anni.; ma quando le reliquie dei SS Andrea e Luca vennero portate a Milano verso la fine del IV secolo, secondo il martirologio geronimiano di Costantinopoli, anche quelle di San Timoteo seguirono la medesima sorte, riposando nella basilica dei SS apostoli. Costantinopoli però all’inizio del sesto secolo reclamò le reliquie degli apostoli e Timoteo seguì San Luca e Sant’Andrea. Nel 536 Giustiniano abbellì la basilica rimasta danneggiata da un maestoso incendio che risparmiò le reliquie dei tre santi che erano poste in mezzo alla chiesa sotto la Mensa Mystica tutta d’argento massiccio.

La Francia che non ho conosciuto.

Un libro di Roberto Giardina. Lo storico corrispondente de Il Giorno e di QN in viaggio dalla Costa Azzurra a Strasburgo (passando per il Belgio).

A chi già conosce la Francia per esserci stato afferra la nostalgia di tornarci. A chi non c’è stato la voglia di andarci. Succede questo, leggendo il libro “Attraverso la Francia”, edito da Bompiani e scritto da Roberto Giardina, il vecchio corrispondente da Berlino, ma prima ancora da Parigi e altre capitali d’Europa, de Il Giorno e degli altri quotidiani riuniti sotto la sigla del Quotidiano Nazionale.


Giardina sa evocare atmosfere, sapori, suoni dei luoghi che ci fa visitare e, insieme, rievocare personaggi che in quei luoghi hanno vissuto quando non legati ad essi per sempre, ben descrivendo l’ambiente, i paesaggi, l’epoca. Quest’ultima sempre confrontata con l’oggi. Un viaggio che dalla Costa Azzurra ci porta a Parigi, non prima però di essere risaliti per la Provenza e la valle del Rodano, la Corsica e i Pirenei fino alla romantica Biarritz sulle coste dell’Oceano, la Loira e, come trascurarle?, la Bretagna e la Normandia.

La scrittura di Giardina, guidata da una mano sicura ed esperta quanto pervasa da un forte sentimento che, in certi momenti si veste di luce poetica, ci guida alla scoperta di un mondo spesso inedito, fatto di particolari, dettagli, episodi e aneddoti talora segreti, che rappresentano il tocco del grande giornalista abituato a dare ai suoi lettori informazioni esclusive o quasi. E, se non esclusive, dimenticate, perché appartenenti a quella piccola storia che sta dietro la grande storia, spesso la prima causa e ragione della seconda.

Potete immaginare il ventaglio di curiosità. Solo nel capitolo della Costa Azzurra si parla di Napoleone Bonaparte e del suo sbarco dall’isola d’Elba dov’era prigioniero a Golfe-Juan e da lì verso Parigi per riprendersi il potere, così tracciando il percorso della Route Napoleon, ovvero la RN85; si parla di Grace Kelly e il rosa e il nero della sua vita, di Isadora Duncan, Francis Scott Fotzgerald e di sua moglie Zelda, ma anche di Katherine Mansfield e D.H.Lawrence che qui erano venuti a curarsi della tisi o di Re Leopoldo II del Belgio che dopo una crociera sulla Čote si trasferì qui godendosi la vita. E poi Matisse, Françoise Sagan, Graham Greene.

Su questa linea, che rende particolarmente viva la narrazione, integrata da molte annotazioni non esenti da ricordi personali, si muove tutto il libro che va a costituire una singolare guida, forse unica nel suo genere, di un grande Paese, che naturalmente non si ferma a Parigi, anche se, per la sua importanza storica e culturale, la parte che la riguarda è la più ampia del libro (ma qui ci fermiamo in compagnia di Ernest Hemingway, Pablo Picasso, Henry Miller, Amedeo Modigliani, James Joyce, Gertrude Stein, un elenco lunghissimo e ricchissimo di personaggi, eventi, storie, strade, quartieri. Riviviamo il Sessantotto e, prima, la stagione degli esistenzialisti e così via).

La strada poi prosegue per la Borgogna con le sue vigne, l’Alsazia, la Lorena, le Ardenne con le loro guerre, i conflitti e lo spostamento dei confini ora in favore della Francia ora della Germania, fino allo storico incontro tra De Gaulle e Adenauer, nella casa che il vecchio generale si era comprato per esserne proprietario solo finché era in vita (con una formula vigente in Francia, ma non da noi, chiamata viager, per cui sei proprietario della casa finchè sei in vita e poi basta), casa in cui fu sancita la pace futura tra i due Paesi e gettate le basi per l’Europa Unita. Quella Europa Unita che ha in una città dell’Alsazia, cioè Strasburgo, la sede del suo Parlamento.

Dalla Francia non manca un passaggio nel vicino Belgio, per i tanti legami che uniscono i due Paesi. Basti pensare a Jacques Brel o a George Simenon, nati in Belgio e adottati dalla Francia, senza dimenticare il piccolo ma ricco principato del Luxemburgo. Tutti itinerari, tra l’altro illustrati dalla matita e colori di Alessandra Scardella, da portarsi dietro per un viaggio non banale che l’autore, tra un capitolo e l’altro, supporta di tante informazioni pratiche che si raccomanda di tenere presenti, qualora si decidesse di attraversare la Francia e, come dice il sottotitolo del libro, “senza dimenticare il Belgio”.

 

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