La Cassazione dice No ai due papà.

E’ un NO deciso quello espresso lo scorso 8 maggio dalla Corte di Cassazione con la Sentenza n. 12193. NO alla trascrizione in Italia dell’atto di filiazione per due minori nati in Canada da una coppia omosessuale, tramite la fecondazione medica assistita.

Sostanzialmente, il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, stante il divieto della maternità surrogata, anche detta “utero in affitto”, di cui alla legge 40/2004,  è la violazione di un principio di ordine pubblico che tutela due valori:” la dignità della gestante e l’istituto giuridico dell’adozione”…"la compatibilità con l'ordine pubblico, richiesta ai fini del riconoscimento dagli art. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995 - ha spiegato la Cassazione - deve essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi hanno trovato attuazione nella legislazione ordinaria, oltre che dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza". Infine, con la sentenza, viene anche  precisato che "i valori tutelati dal predetto divieto, ritenuti dal legislatore prevalenti sull'interesse del minore, non escludono la possibilità di attribuire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione in casi particolari (prevista dall'art. 44 - comma primo - lett. d, della legge n. 184 del 1983)".

Il caso in questione proveniva dalla Corte di Appello di Trento che a febbraio 2017 aveva dato il nulla osta alla trascrizione in Italia di un atto della Corte di Giustizia dell’Ontario, che, in considerazione dell’”interesse superiore del minore”, aveva stabilito la genitorialità del secondo papà di due piccoli nati in Canada. un uomo che non ha legame biologico con i bambini, concepiti dall’altro partner della coppia omosessuale e da due donne, una che ha donato gli ovociti e un’altra che ha “prestato” il suo utero per portare avanti la gestazione.

La storia in esame riguarda due gemellini, un maschio e una femmina, nati in Ontario nel 2010 grazie alla fecondazione assistita. In Canada, infatti, le coppie omosessuali possono diventare genitori tramite la "gestazione per altri", in quanto la legge canadese non riconosce alla gestante la qualità genitoriale. I due padri, entrambi cittadini italiani, si sono poi sposati in Canada nel 2008 e hanno ottenuto dalla Corte canadese la genitorialità del secondo papà. Hanno poi chiesto che questo verdetto fosse riconosciuto anche in Italia.

A seguito dei ricorsi presentati dal Ministro dell’Interno e dal Sindaco di Trento, poiché era la prima volta che la Cassazione si trovava ad affrontare una vicenda del genere e data "la complessità e la rilevanza" della questioni, i giudici della prima sezione civile, con un'ordinanza del febbraio 2018, avevano trasmesso gli atti al primo presidente della Corte, affinché valutasse la trattazione del caso davanti alle sezioni unite.

La procura generale della Cassazione, in un’udienza svoltasi a novembre 2018,  aveva quindi chiesto di annullare la sentenza d’appello, cosa ottenuta con la sentenza di ieri, che ha praticamente negato la validità nel nostro Paese del provvedimento del giudice canadese.

Come prevedibile, numerose e contrastanti sono state le immediate reazioni su un tema indubbiamente scottante, anche perché facilmente strumentalizzabile in chiave elettorale.

Se da un lato Toni Brande e Jacopo Coghe, presidente e vice presidente del Congresso Mondiale delle Famiglie e di Pro Vita e Famiglia, hanno espresso soddisfazione per questa sentenza, ritenuta decisiva a chiarimento che “le donne non sono incubatrici e i bambini non sono merce”, ma anche un po’ di preoccupazione in merito alla possibilità lasciata dalla Corte Suprema all’adozione particolare, Fabio Marrazzo, portavoce del Gay center, ha ribadito “l’urgenza di una legge che riconosca la genitorialità e la adozione per le coppie lesbiche e gay, che tuteli i minori fin dalla nascita”.

Quanto all'avvocato Alexander Schuster, difensore della coppia, ha asserito che "Da una parte, questa sentenza mette finalmente fine al dibattito, che ancora languiva in tali tribunali minorili, sull'utilizzabilità dell'art. 44 per le adozioni nelle coppie conviventi, anche dello stesso sesso. Dall'altra, il comunicato della Cassazione 'neutralizza' la questione, parificando il caso del secondo padre a quello della madre intenzionale, parlando genericamente di 'genitore intenzionale': questo è senz'altro positivo, perché dimostra che la difficoltà giuridica non dipendeva dal fatto che si trattasse di una coppia gay. Il problema, correttamente, è stato inquadrato prescindendo da sesso e orientamento sessuale…Salvo contenuti della sentenza che innovino sugli effetti di tale tipo di adozione, l'interesse dei minori non viene tutelato con un'adozione in casi particolari, che è un'adozione incompleta, non piena . Essa non pone il minore nella stessa posizione in cui si trova un figlio riconosciuto o trascritto. Per citare una discriminazione, i due gemelli non sarebbero fratelli rispetto al secondo padre, ma solo rispetto al padre genetico: fratelli per metà. Non hanno nonni rispetto al secondo genitore. In tal caso, alla famiglia trentina sarebbe possibile ricorrere alla Corte europea per i diritti umani con alta probabilità di successo".

 

Casa familiare: meno diritti all'affidatario.

Con l’ordinanza n. 9990 del 10 aprile 2019, laCassazione detta fondamentali precisazioni sul principio di diritto che regola il caso di cessione a terzi da parte del coniuge esclusivo proprietario, in costanza di matrimonio, della proprietà della casa familiare, poi assegnata all’altro coniuge a seguito della separazione.

Questa articolata ordinanza focalizza la questione dell’opponibilità dell’assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario di figli minori, nel caso di cessione dell’immobile a un terzo, intervenuta prima della separazione o divorzio.

In sostanza, nel caso analizzato, si trattava di chiarire il dubbio se prevalga il diritto di abitazione del coniuge affidatario rispetto a quello del terzo di disporre dell’immobile da lui acquistato prima dell’assegnazione dello stesso.

Dopo ampia disamina della questione e della giurisprudenza passata, la Corte di Cassazione ha stabilito la prevalenza del diritto dell’assegnatario solo nel caso in cui il terzo abbia acquistato sottoscrivendo una clausola di rispetto  dello status quo abitativo in essere o nel caso abbia stipulato un contratto di comodato con gli occupanti l’abitazione. Diversamente, al terzo acquirente non è opponibile l’assegnazione della casa coniugale disposta successivamente, poiché prevale il diritto acquisito precedentemente.

Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte è chiaro: rispetto alla cessione al terzo effettuata in costanza di matrimonio da parte del coniuge esclusivo proprietario, il provvedimento di assegnazione della casa familiare all’altro coniuge - non titolare di diritti reali sul bene medesimo - emesso in data successiva a quello dell’atto di acquisto compiuto dal terzo, è a questi opponibile ai sensi dell’articolo 155 quater cc e della disposizione dell’articolo 6, comma 6, della Legge n. 898/1970, in due sole ipotesi.

Ovvero, solo se si ravvisi l’instaurazione di un preesistente rapporto, in corso di esecuzione, tra il terzo ed il predetto coniuge dal quale quest’ultimo derivi il diritto di godimento funzionale alle esigenze della famiglia (ipotesi che ricorre quando il terzo abbia acquistato la proprietà con clausola di rispetto del titolo di detenzione qualificata derivante al coniuge dal negozio familiare); oppure, nel caso in cui il terzo abbia inteso concludere un contratto di comodato, in funzione delle esigenze del residuo nucleo familiare, con il coniuge occupante l’immobile.

In detti casi, non è sufficiente la mera consapevolezza da parte del terzo, al momento dell’acquisto, della pregressa situazione di fatto di utilizzo del bene immobile da parte della famiglia.

 

Il licenziamento leggittimo.

L’abuso dei diritti da parte di taluni lavoratori è un problema serio sia dal punto di vista etico/sociale sia da quello aziendale.

Per abuso della Legge n. 104/1992 s’intende, ad esempio, aver fruito di permessi in forza della legge medesima, non per assistere il familiare disabile, ma per fini personali, viaggi di piacere, ristoro, shopping o anche semplicemente ozio.

Nel corso del 2018 la Corte di Cassazione si è pronunciata più volte in materia, chiarendo, senza ombra di dubbio, che i furbetti possono incorrere nel licenziamento.

La recente ordinanza n. 4670/2019 ha confermato questa tendenza.  Non solo ha ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente che aveva usato impropriamente permessi di cui alla Legge n. 104/1992, ma ha ritenuto egittimo anche il ricorso ad agenzie investigative per consentire al datore di lavoro di  venire a conoscenza di comportamenti impropri del lavoratore.

Lo Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970), ex artt. 2 e 3, preclude al datore di lavoro di demandare controlli sull’attività lavorativa  a soggetti esterni, diversi dal personale interno addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa, i cui nominativi e mansioni devono essere comunicati  ai lavoratori interessati.

La Suprema Corte, con l’ordinanza suddetta, ha precisato che non sono, invece, preclusi i controlli demandati dal datore di lavoro ad agenzie investigative, laddove non riguardino l’adempimento della prestazione lavorativa, ma siano finalizzati a verificare                                                                                                comportamenti illeciti, fraudolenti, penalmente rilevanti, fonti di danno per il datore di lavoro stesso.

Non occorre, inoltre, la reiterazione di un comportamento  illecito, ma è sufficiente un solo sospetto o una mera ipotesi.

In particolare, con riferimento alla fruizione dei permessi ex legge n. 104/1992, la giurisprudenza ha evidenziato più volte che se il lavoratore subordinato si avvale di un permesso non per assistere un familiare ma per altri scopi personali, integra l’ipotesi dell’abuso di diritto. Il divieto di diverso utilizzo, peraltro, non si limita al monte ore lavorativo, ma si estende all’intera giornata, ore notturne incluse.

Peraltro, è di tutta evidenza come nell’abuso dei permessi 104 sia ravvisabile il reato di truffa. Tale abuso, del resto, non solo costituisce comportamento grave, lesivo del rapporto fiduciario, in danno del datore di lavoro, ma anche del sistema previdenziale pubblico. L’indennità  spettante, infatti, sebbene anticipata dal datore di lavoro, è erogata dall’Ente Previdenziale.

Il dipendente infedele, che abusi della Legge 104, rischia quindi il licenziamento per giusta causa e una denuncia per truffa ai danni dello Stato (Ente Previdenziale e Sistema Sanitario Nazionale) nonché la decadenza di tutti i benefici concessigli in virtù di tale legge, con conseguente restituzione di tutte le somme indebitamente percepite sino allora.

 

Riforma del Codice Civile.

Il Ministro Bonafede aveva anticipato già il mese scorso, nel corso di un incontro con i rappresentanti del Consiglio Nazionale Forense, dell’Organismo Congressuale Forense e dell’Associazione Nazionale Magistrati,  la volontà del Governo di procedere ad una legge delega per favorire la flessibilità del procedimento civile, razionalizzandone tempi e attività. 

Nel corso del Consiglio dei Ministri del 28 febbraio scorso, il Governo ha approvato ben  dieci schemi di legge delega, tra i quali quello per una importante riforma del codice civile, la più sostanziosa dal 1942, anno di entrata in vigore dello stesso.

Si spazia dai contratti prematrimoniali alle successioni, passando per contratti bancari e trust.

I temi principali sono i seguenti:

  • Associazioni e Fondazioni
  • Patti familiari
  • Successioni
  • Contratti
  • Responsabilità
  • Garanzie del credito e trust

Questa delega, come le altre nove, tutte su materie assai rilevanti, farà molto discutere e sarà oggetto di analisi tecniche approfondite.  Se le deleghe saranno approvate dal Parlamento, infatti, sarà il Governo il fulcro di tutte le attività necessarie per i numerosi, sostanziali cambiamenti previsti. Inoltre, in caso di approvazione, verrà istituita una Commissione permanente di esperti e giuristi, presieduta dal presidente del consiglio dei ministri, che avrà a disposizione 8 milioni di euro l’anno dal 2010, con il compito di assicurare la concreta attuazione delle misure previste.

Ma vediamo in dettaglio i contenuti per singolo argomento.

Associazioni e Fondazioni

Centrale il tema del terzo settore, ad esclusione delle fondazioni bancarie, con l’aggiornamento delle procedure per il riconoscimento, i limiti allo svolgimento di attività a scopo di lucro e le procedure di liquidazione degli enti.

Patti familiari

Saranno possibili sia in caso di matrimonio che di unione civile per regolare i rapporti personali e patrimoniali delle parti, nonché l’indirizzo dell’educazione dei figli e dell’organizzazione familiare, in caso di crisi del rapporto.

Successioni

Prevista una semplificazione in linea con il certificato successorio europeo. La legittima sarà considerata quota del valore del patrimonio ereditario, garantita da privilegio speciale sugli eventuali immobili e comunque da privilegio generale sui beni mobili facenti parte dell’asse ereditario. Sarà inoltre possibile sottoscrivere patti successori che permettano la rinunzia irrevocabile di un soggetto a qualche bene particolare o alla successione tutta.

Contratti

Piuttosto dettagliato quanto previsto in materia contrattuale. In corso di trattativa, ad esempio, se una parte è a conoscenza di un’informazione rilevante e determinante per il consenso, sarà tenuta a comunicarla all’altra parte. Questo dovrebbe evitare il rischio di pratiche negoziali ingannevoli perché tali comportamenti scorretti, rilevabili d’ufficio dal giudice, determineranno la conclusione del contratto per invalidità dello stesso, soprattutto se in contrasto con i diritti fondamentali della persona umana.

Responsabilità

Nell’ipotesi di concorso, cumulo o sovrapposizione di responsabilità contrattuali, la delega prevede per il governo il compito di coordinare più razionalmente tali ipotesi. Dovrà, inoltre,  estendere le ipotesi di risarcibilità del danno non patrimoniale, al di là della rigida tipizzazione legislativa, introducendo criteri alternativi, correlati  al rango costituzionale degli interessi lesi.

Garanzie del credito e trust

E’ prevista una disciplina di nuove forme di garanzia del credito, considerate le prassi contrattuali consolidatesi in campo bancario e finanziario. Dovranno, infine, essere disciplinate nuove modalità di costituzione e funzionamento del trust e dei contratti di affidamento fiduciario tutti, per garantire un’adeguata tutela dei beneficiari. Sulla base degli schemi di decreto, saranno acquisiti i pareri delle commissioni parlamentari competenti per materia, che entro 45 giorni dovranno pronunciarsi in merito. Decorso tale termine, i decreti legislativi potranno comunque essere adottati. Inoltre, entro un anno dall’entrata in vigore dei decreti legislativi, il Governo potrà apportare disposizioni integrative e correttive.

 

Offende il datore di lavoro sui social.

E’ legittimo il licenziamento di chi offende il datore di lavoro sui social

Entro quali limiti un dipendente può esprimersi criticando, fino agli insulti, l’azienda per la quale lavora? Può un semplice “sfogo”  contro il proprio datore di lavoro comportare gravi conseguenze disciplinari?Si discute da tempo, ormai, nei Tribunali e non solo sulla gravità degli insulti pubblicati sui social, canali potenzialmente illimitati, grazie ai quali la diffamazione si amplifica.

L’ordinanza n. 28878 del 12/11/2018 della Cassazione Civile, Sezione Lavoro, conferma l’orientamento giurisprudenziale ormai prevalente secondo il quale la condotta extralavorativa di un dipendente, qualora abbia portata pubblica, insita nelle potenzialità indeterminate dei social networks, può avere rilevanza disciplinare fino alle estreme conseguenze del licenziamento per giusta causa.

La sentenza in oggetto, infatti,  conferma quanto già deciso dapprima dal Tribunale di Alessandria e poi dalla Corte di Appello di Torino, che avevano rigettato la domanda di un dipendente atta al riconoscimento dell’illeggittimità del licenziamento disciplinare intimatogli, a seguito della pubblicazione su Facebook di immagini e contenuti di natura offensiva nei confronti della società da cui dipendeva e dei suoi dirigenti.

Invocare un divieto di interferenza nella vita privata, ex art. 8 L. 300/70, peraltro, è risultato vano, stante la potenzialità diffusiva di quanto postato che interessa non per accertare le opinioni del lavoratore bensì atteggiamenti rilevanti per la verifica delle sue attitudini professionali.

In sostanza, la gravità dell’offesa è amplificata dalla dimensione pubblica della stessa, in considerazione delle potenzialità di diffusione, immediate e indiscriminate, dei post sui social network.

Come già con la precedente sentenza n. 10280 del 27 aprile 2018, la cassazione afferma e conferma che “…la diffusione di un contenuto diffamatorio tramite una bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione, per la potenziale capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone…”.

Il rilievo disciplinare del comportamento extralavorativo suddetto, trova conferma nel dovere di fedeltà, ex art. 2105 c.c. nonché con i canoni di lealtà, buona fede e correttezza, ex art. 1175 e 1375 c.c..

Ne consegue, quindi, per il dipendente sia il dovere di astensione dai comportamenti espressamente vietati dalla legge sia da quanto in contrasto con i doveri di inserimento del lavoratore stesso nella struttura organizzativa dell’impresa, in quanto lesivi del presupposto fiduciario del rapporto di lavoro, quando non addirittura in conflitto rispetto alle finalità e agli interessi della società datrice.

In conclusione, poiché sempre più i social network fanno parte della nostra vita quotidiana, prima di rovesciare un torrente di insulti e di critiche pesanti contro l’azienda per cui si lavora, è opportuno che un dipendente valuti bene se e cosa scrivere, sapendo che si assume la responsabilità delle possibili, anche gravi, conseguenze del proprio “sfogo” mediatico.

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