ANNO XII - &MAGAZINE - 

Quando l'arte prende vita!

Intervista di Elisa Amadori

Dal 2 al 4 febbraio il Museo del Novecento di Milano ha ospitato l’evento Il Quarto Stato oltre il visibile: i visitatori, grazie alla realtà aumentata, hanno avuto l’occasione di interagire con la nota opera di Pelizza da Volpedo. Come? Non abbiamo forse tutti sognato di tuffarci nei dipinti.

insieme ai personaggi di disneyana memoria, Mary Poppins e Bert?

Ebbene, scaricando gratuitamente l’applicazione QuartoStatoAR, lo smartphone è divenuto lo strumento per rompere le barriere spaziotemporali e immergersi attivamente nel quadro.

Il progetto SMART-Augmented Culture coniuga arte e tecnologia, creando narrazioni multimediali in cui cultura e pubblico comunicano in ambienti amplificati. Il tanto appellato dialogo con il passato ormai non è più una metafora, ma letteralmente realtà.

Per dirla con Proust, il vero viaggio non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.

Ma lasciamo la parola a uno dei promotori del progetto, Marco Pucci. Marco, artista multimediale originario di Roma, vive e lavora a Milano nel campo dell’arte e della comunicazione; insegna presso l’Accademia di Belle Arti di Brera e l’Università IULM di Milano.

Come ha risposto il pubblico all’evento? Le vostre aspettative sono state appagate?

Devo dire che la risposta è andata oltre le nostre aspettative, più di duemila visite in tre giorni, è stata dura gestire un tale afflusso di persone curiose ed interessate, ma anche molto gratificante: il lavoro è piaciuto ed il pubblico effettivamente pronto ad esperienze di questo tipo. Tra tutti mi ha colpito la reazione di una signora di Volpedo che ascoltando la storia raccontata da uno dei personaggi del quadro animato in AR si è commossa. Mi sono reso conto del fatto che in questo territorio l'opera “il quarto stato” è davvero molto amata.

Immagino che la scelta del soggetto non sia stata casuale... Cosa può dirci oggi quella coralità?

Su questo potrebbe rispondere meglio un sociologo forse. Dal mio punto di vista, che è un'opinione personale ovviamente, credo ancora fortemente nella possibilità di trasformazione che una comunità organizzata può avere collaborando per un bene comune. Se oggi ci siano o meno i presupposti per un agire collettivo e consapevole, non me ne rendo conto, ma lo spero davvero.

Se dovessi illustrarci la storia del progetto in cinque parole quali sceglieresti e perchè?

Intraprendenza: perchè si tratta di un progetto che abbiamo realizzato gratuitamente per il museo. È stato importante mettere alla prova la nostra capacità progettuale in un contesto di questo tipo, la tecnologia della Realtà Aumentata e le risposte di un pubblico di fronte ad un classico.

Sperimentazione: perchè non sapevamo se le condizioni in cui si trova l'opera ci avrebbero permesso la realizzazione del progetto e in effetti le sfide tecniche ci sono state (tra tutte il vetro di protezione dell'opera che interferisce con l ripresa da smartphone).

Curiosità: capire come avrebbe reagito il pubblico di fronte a questa mediazione tecnologica, a questo “altro” incontro con il dipinto

Ricerca: per tutto l'aspetto che ha riguardato la ricerca di informazioni sui personaggi presenti nella tela, sulla loro storia, i loro mestieri e il loro rapporto con il pittore. Abbiamo scoperto quanto fosse stato importante per loro posare per questo “manifesto” e la stima e l'amicizia che li legava a Pellizza dar Volpedo.

Opportunità: quella di lavorare ed entrare in una relazione non superficiale con un'opera come questa, un onore e un piacere che mi ha dato soddisfazione da un punto di vista non solo professionale ma soprattutto personale.

Chi sono stati i vostri maestri, reali o ideali che siano?

Maestro in tutti i sensi per me è stato Paolo Rosa di Studio Azzurro: sono stato un suo studente e in seguito ho avuto la fortuna di lavorare con lui per qualche anno. A lui devo soprattutto l'aspetto teorico della mia formazione e l'amore per questo lavoro.

Progetti futuri?

Con un gruppo che ho fondato da poco insieme ad altri colleghi abbiamo partecipato ad alcuni bandi che (incrociamo le dita) potrebbero portarci in altre regioni italiane. Tra questi c'è un progetto per Matera 2019 / Capitale Europea della Cultura. Si tratta sempre di operazioni in Realtà Aumentata legate a progetti culturali per il territorio, progetti che puntano a far esperire luoghi, storie e ricchezze in modo poetico ma anche rispettoso e poco invasivo.

 

Leggi anche:


Cascarci è di serie. Serie TV? Si grazie!

SERIE TV? SI, GRAZIE!

Ci caschi più o meno come tutti. Non volendo. Te ne stai lì bello sereno, a crogiolarti con i tuoi Franzen, Nolan o Iñarritu, mediamente sicuro di avere sott'occhio il meglio che l'arte del raccontare possa offrirti, oggi come oggi.

Poi un giorno, da un tavolo di un anonimo bar, intercetti un paio di voci che blaterano entusiasticamente di "Lost",  "Grey's Anatomy" o altri a te sconosciuti titoli di una cosa chiamata "serie tv". Serie tv?! Cioè cose tipo "Un Medico in famiglia" o "Don Matteo"? Storielle annacquate come questo spritz che sto sorbettando? "Menti semplici", pensi. Lasci il bicchiere a metà, paghi e te ne vai sghignazzando snobisticamente fra te e te.

Ma non finisce lì. Le voci si moltiplicano. Sono ovunque. "Walking Dead, fenomenale!", "Game of Thrones, spettacolo puro!" Sui social, sei circondato. L'argomento serie tv brucia chilometri di post dai toni alti. "Ho finito la sesta stagione di Downton Abbey, come faccio adesso??!!", "Niente è meglio di True Detective". A quel punto sei frastornato e cominci a pensare che o il mondo è impazzito o... "Ma no dai - ti persuadi - sarà la moda del momento". E ti rifugi in un buon Hitchcock, che schiarisce le idee. 

Poi però, una sera accade l'imprevedibile. La tua amica cinefila, con cui hai visto e discusso con argomenti raffinati decine di film d'autore, ti dà buca alla proiezione dell'ultimo Dardenne perché "stasera devo finire Dexter, sai, è una passione". A quel punto le tue riserve crollano. Cerchi una ragione plausibile. "Forse ha un amante e non me lo dice" pensi. Ma non regge. Così, in quattro e quattr'otto, solo e pieno di sospetti, prendi il tablet e ti abboni a un servizio streaming. Tanto per toglierti la curiosità. Due minuti e davanti ai tuoi occhi si materializzano in immagini i titoli di cui hai sentito parlare, insieme a tanti altri. Fai clic a caso. E sei finito.

Il mondo che ti si spalanca davanti è sconfinato. Centinaia e centinaia di serie tv sono a tua disposizione. Ogni argomento e genere è rappresentato. Puoi guardarle quando e come vuoi. Portartele appresso. Oppure abbandonarle per sempre. Qualche numero per capirci: nel 2017 sono state prodotte 487 serie tv, 32 più dell'anno precedente. I principali produttori (Netflix, Amazon, HBO e Hulu) ci hanno investito 15 miliardi. Ma le cifre sono destinate ad aumentare. Anche perché il business dà profitti. Solo Netflix, che nel mondo ha 104 milioni di abbonati, nel 2017 ha messo insieme una cosa come 11 miliardi di ricavi. 8 ne reinvestirà in produzioni nuove già nel 2018. Amazon vuole superarla, portando il suo budget a 8,3 miliardi entro il 2022 e mettendo in cantiere una serie kolossal da "Il Signore degli Anelli". Il tutto mentre stanno per lanciarsi in questo business anche competitors come Apple (un miliardo nella creazione di contenuti originali quest'anno, 4,2 entro i prossimi quattro anni), Facebook e Youtube. Una corsa all'oro dalle proporzioni eccessive, forse in grado di causare una bolla pronta ad esplodere nelle prossime stagioni. Affari loro. In tutti i sensi.

A te non interessano le sorti delle multinazionali. Ora sei nel gioco e tirarti indieto è impossibile. Inizi a guardare di tutto, disordinatamente. In breve fai il grande salto e diventi un addicted, una specie di drogato. Scovi una serie che ti piace e ne consumi stagioni intere in una notte. È il cosiddetto "binge watching", fenomeno ormai studiato anche da psicologi e sociologi. In pratica: ti innamori di una storia, ti identifichi con questo o quel personaggio, l'intreccio ti avvince. In breve, non puoi vivere senza sapere come va a finire. Così, la butti giù tutta insieme. E piano piano realizzi che quello che hai di fronte è un fatto epocale. Le serie tv, ormai il prodotto culturale o di intrattenimento più diffuso nel mondo occidentale, ha assorbito in se gran parte di ciò che è stato il cinema fino a pochi anni fa. I generi, ad esempio. Poliziesco, commedia, western, romantico. C'è di tutto, con i dovuti adattamenti al diverso formato e alla differente forma di consumo. Guardare un tablet spaparanzati nel proprio letto, per poi magari portarselo a spasso dentro casa, non è ovviamente come vedere uno schermo seduti sulla poltrona di un cinema. Poi, con tutte quelle ore a disposizione, gli orizzonti per gli sceneggiatori si allargano. I personaggi secondari ti portano nei rivoli della storia principale. Film nel film. O romanzo in forma di film.

In effetti, sembra più di avere a che fare con un libro che ti si racconta in immagini e suoni. Del resto, rifletti, anche il romanzo borghese nacque in forma di serie, pubblicato a puntate sulle riviste inglesi di fine Settecento. Sarà dunque che le serie tv, oltre ad essere il nuovo cinema, come ormai i critici concordano, siano diventate anche il nuovo romanzo? Se così fosse, dov'è il "Robinson Crusoe" e dove sono i capolavori che raccontano epoche, mondi, territori intimi e tutto il resto? La domanda alimenta la tua dipendenza. Clicchi e riclicchi, apri e segui questa e quella serie. E alla fine, con stupore e meraviglia, scopri che sì, tra tante serie tv puramente riempitive, le grandi opere esistono. Affreschi d'epoca completi, indagini psicologiche profonde, intrecci convincenti. Il tuo gusto difficile trova soddisfazione. E allora non ne esci più. 

 

Leggi anche:


Cous cous Klan: Attilio Fontana scivola sulla razza bianca.

Cous Cous Klan. L’ironia sul web si spreca.

Da quando anche la formosa (e vogliosa) casalinga di Voghera può esprimere liberamente la propria opinione su ogni tema siamo tutti propensi alle chiacchiere da bar sui social, che nell’era prima Facebook (a.F. che ha ormai sostituito a.C., ma poi siamo sicuri che ci sarà mai ­­un’era d.F.?!) si limitavano al calcio e sotto elezioni anche alla politica.

Stavolta, le casalinghe di Voghera (da diversi mesi si sono riunite in un fan club condominiale sulle sponde del Po) hanno ragione da vendere per essere agitate.

Il candidato del centrodestra alla presidenza della Regione Lombardia, il leghista Attilio Fontana, s’è lasciato straripare dall’enfasi. Memore delle crociate dei suoi antenati, fiero come un Fanfulla da Lodi, s’è eretto a difesa della patria, o meglio della ‘razza bianca’, messa in pericolo dall’orda barbarica dei neri che spingono da Sud, dal bacino mediterraneo, quello che ha assistito fiero alla nascita della cultura e della civiltà classica.

Preso dal parossismo politico, Fontana ha sgorgato fiumi di parole, che concettualmente non straripano, però come al solito forma e contenuto non collimano, come se si fosse in balia di correnti uguali e contrarie. È vero, come è vero, che Fontana ha affrontato a Radio Padania il tema dell’immigrazione come se fosse al bar tra amici, e questo resta l’errore maggiore di un’Italietta che ha perso la bussola dell’etichetta (ricordiamo la perla di Optì Pobà che mangiava banane nella jungla e ora gioca in serie A di calcio dell’ex presidente Tavecchio…).

Giudicate voi: «Non possiamo perché tutti non ci stiamo, quindi dobbiamo fare delle scelte. Dobbiamo decidere se la nostra etnia, se la nostra razza bianca, se la nostra società deve continuare a esistere o se deve essere cancellata.

Qui non è questione di essere xenofobi o razzisti, ma di essere logici o razionali. È una scelta. Non possiamo accettarli tutti, perché se dovessimo farlo, non saremmo più noi come realtà sociale, come realtà etnica».

A parte la normativa interna da attualizzare, lo ius soli (sacrosanto, ma va guadagnato), i flussi migratori da regolarizzare (è un dovere naturale), gli aiuti dall’altra parte del Mediterraneo –che appartengono a una politica internazionale e dopo interna- quello che disorienta è l’istintiva deriva razzista di chi si appresta a vestire i panni del leader in una pubblica amministrazione.

Si consiglia al signor Fontana una scorpacciata di speziato cous cous nel deserto coi fieri tuareg e una tonica abluzione in un’oasi per mondare i peccati che fanno rima con quelli del preconcetto e del pregiudizio. Poi, ne riparliamo. Sciacquati i panni nell’umiltà del genere umano, Fontana potrà essere riascoltato, magari esprimendo qualche idea.

 

Leggi anche:


Finale cambiato alla Carmen, protesta il movimento dei bruti.

Il nostro sogno folle da bambini? Cambiare il finale alle storie che ci raccontavano.

Poco importa che fossero favole di Esopo o dei fratelli Grimm. Crescendo, poi, da adolescenti con gli ormoni e gli estrogeni da controllare (o da distribuire, a seconda dei casi…), chissà quante volte abbiamo immaginato di cambiare il finale a un romanzo, a un film e, perché no, a un’opera teatrale.

Così, in nome di una tardiva e mai sopita coscienza lirica parossistica, il sindaco di Firenze Dario Nardella, nel ruolo anche di presidente del Maggio musicale della sua splendida città, ha avallato di cambiare il finale della Carmen, l’opera di Bizet. Motivo? Una irrefrenabile passione per i finali alternativi, come talvolta va di moda negli spettacoli interattivi in cui sono gli spettatori a suggerire i titoli di coda? No. Peggio.

La motivazione (udite udite) è “per denunciare la violenza sulle donne, in aumento in Italia”, quindi per lanciare un messaggio ecumenico, volto alla pax sociale in un momento in cui il Bel Paese è nella convulsa spirale dell’abbrutimento. Al di là di una dichiarazione così spiazzante (e gli siamo grati stavolta al primo cittadino gigliato, infatti rifuggiamo per natura dalle omologazioni), restano le umane e artistiche perplessità. Se qualcuno già suggerisce di cambiare il finale in cui l’agnello mannaro divora l’astuto lupo controbilanciato però da un ipotetico futuro eccesso colposo di legittima difesa, Otello di schiarirsi la pelle (come fece il divo Michael Jackson) per evitare derive razziste, Cappuccetto Rosso di denunciare al Telefono Azzurro le pederastiche pretese del Lupo (ma attenzione al club degli animalisti, che a loro volta potrebbero querelare nonnina e cacciatore per un delitto contro il patrimonio, data la protezione della bestiola…), ascoltiamo le ragioni del sindaco fiorentino.

Lui ha concesso il placet al regista Leo Muscato, che aveva suggerito questo finale dissacrante (relativo all’opera, eh) in cui la Carmen evita la pugnalata di don Josè e lo defunge con una pistolettata, ottenendo così una grande amplificazione mediatica e riportando l’attenzione sulla lirica nazionale (ma non è così, per sua stessa bambinesca ammissione). Ancora: nessuno s’è mai chiesto in queste ore di rovente polemica se Nardella invece avesse consultato in una seduta spiritica l’anima di Georges Bizet, che ha trasformato il sindaco in un rabdomante del finale nuovo per evitare la morte di una donzella concupita dai più? Sarà.

I dubbi restano di fronte alle dichiarazioni del successore di Lorenzo il Magnifico, che avrebbe potuto evitare insieme al regista gli strali della critica se avessero dichiarato che l’opera era solo ispirata alla Carmen di Bizet. Ma torniamo a noi: attenzione ora al movimento spontaneo dei bruti, che ha già avanzato richiesta al Ministero dei beni culturali di cambiare gli happy end di ogni pièce.

 

Leggi anche:


Chi va in biblioteca?

Sono soprattutto le donne a frequentare le biblioteche, e lo fanno particolarmente nel tempo libero.

E c’è chi le sceglie anche per incontrare gli amici. Ma ecco i dati emersi da un’indagine ISTAT a riguardo.

Sono oltre 8 milioni gli italiani che frequentano le biblioteche in Italia, il 15,1% delle persone con più di 6 anni. La ricerca evidenza come i frequentatori di biblioteche in tutte le fasce d’età siano aumentati rispetto al 2006, con una crescita particolare tra i 20 e i 24 anni. Il 17,2% delle donne le frequentano, soprattutto nel tempo libero (il 40,1%). Oltre alle attività tradizionali, come prendere in prestito un libro (60,1%), leggere e studiare (39,8%) o raccogliere informazioni (27,8%), c’è anche chi sceglie la biblioteca per incontrare gli amici (8,5%).

A frequentarle soprattutto i più giovani: tra i 6-24 anni, con un picco tra gli 11-14 anni che si attesa sul 41,5% di frequentatori nel 2015 (erano il 38,4% nel 2006). A partire dai 25 anni in poi l’utilizzo delle biblioteche diminuisce fino a toccare i livelli più bassi.

Le donne sono le maggiori frequentatrici: il 17,2% rispetto al 12,9% dei maschi. Le differenze di genere diventano minime tra i bambini tra i 6 e i 10 anni e oltre i 65 anni. Guardiamo la provenienza geografica: nel Nord-Est la frequenza delle biblioteche è più alta (il 22,1%), seguita dal Nord-ovest con il 20% mentre il Centro si attesta al 13,3%. Inferiori il Sud con il 7,6% delle frequenze e le Isole con il 10,4%. In particolare il risultato delle Isole è dato da due situazioni diverse: in Sicilia la quota è dell’8%, mentre in Sardegna è più del doppio, ovvero il 18,1%.

A Bolzano il 35% dei cittadini frequenta le biblioteche che sono anche molto diffuse: 43,5 ogni 100.000 abitanti. Al contrario in Campania dove c’è una più bassa percentuale di frequentatori (ovvero il 6,6%) ci sono meno biblioteche (sono 16,6 ogni 100.000 abitanti).

Ma perché si va in biblioteca? Il 42% le frequenta per motivi di studio e/o lavoro e il 39,2% nel tempo libero. Gli uomini preferiscono le frequentare per motivi di studio o lavoro (45,4% rispetto al 39,6% delle femmine) mentre le donne scelgono le biblioteche per motivi legati al tempo libero (40,1% rispetto al 37,8% dei maschi).

Anche i bambini tra i 6-10 anni scelgono la biblioteca per il tempo libero. Con il crescere dell’età, dagli 11 anni in poi, aumenta l’utilizzo per motivi di studio e lavoro. Dai 25 anni in poi, al contrario, è prevalente l’utilizzo per il tempo libero.

La biblioteca è scelta dal 60,1% delle persone per prendere in prestito i libri, che diventa il 67,4% delle persone nel Nord Italia. Il 38,9% la sceglie per leggere e studiare, nel Sud Italia diventa una persona su due (ovvero il 49,6%). Il 27,8% la sceglie per raccogliere informazioni. Sono inferiori le scelte per consultare quotidiani e riviste (9,8%), prendere in prestito materiale audiovisivo (9,3%) e consultare i cataloghi (9,2%), mentre per l’8,5% delle persone è una meta per incontrare gli amici. In particolare sono il 15,7% dei ragazzi tra i 15 e 19 anni a frequentare la biblioteca per questo motivo. I giovani tra i 20 e i 24 anni, invece, la utilizzano per leggere e studiare (75,9%) o per raccogliere informazioni (40,4%).

Le donne restano le più assidue nel frequentare le biblioteche. In particolare nella fascia di età tra i 20-24 anni una donna su due (ovvero il 54,4%) è andata in biblioteca 10 o più volte. Anche le età influenzano le visite in biblioteca. Un giovane su due tra i 20 e i 24 anni (ovvero il 52,3%) è andato in biblioteca 10 o più volte, mentre tra i 6-10 anni la quota è più che dimezzata (ovvero il 19,1%). Gli utenti più assidui (10 o più frequentazioni) sono il 36,6% nel Nord-est con un picco del 44,2% in Trentino Alto Adige. Le percentuali crollano al 26,1% nel Sud, mentre in Sicilia e Puglia si scende sotto il 23%.

Certo è che andrebbero aiutate le biblioteche su come divenire centri di lettura (e di scrittura), in modo da essere punti di riferimento attivi nel processo di crescita culturale del Paese.

 

Leggi anche:


Logo &Magazine

DIRITTO ECONOMIA E CULTURA
Reg. Trib. Roma n. 144 / 05.05.2011
00186 Roma - Via del Grottino 13

logo_ansa_&magazine

Logo &Consulting

EDITRICE &CONSULTING scarl
REA: RM1297242 - IVA: 03771930710
00186 Roma - Via del Grottino 13

Perizie e Consulenze tecniche in ambito bancario e finanziario di &Consulting

logo bancheefinanza menu

WEBSITE POLICIES

Legal - Privacy - Cookie