ANNO XII - &MAGAZINE - 

Cous cous Klan: Attilio Fontana scivola sulla razza bianca.

Cous Cous Klan. L’ironia sul web si spreca.

Da quando anche la formosa (e vogliosa) casalinga di Voghera può esprimere liberamente la propria opinione su ogni tema siamo tutti propensi alle chiacchiere da bar sui social, che nell’era prima Facebook (a.F. che ha ormai sostituito a.C., ma poi siamo sicuri che ci sarà mai ­­un’era d.F.?!) si limitavano al calcio e sotto elezioni anche alla politica.

Stavolta, le casalinghe di Voghera (da diversi mesi si sono riunite in un fan club condominiale sulle sponde del Po) hanno ragione da vendere per essere agitate.

Il candidato del centrodestra alla presidenza della Regione Lombardia, il leghista Attilio Fontana, s’è lasciato straripare dall’enfasi. Memore delle crociate dei suoi antenati, fiero come un Fanfulla da Lodi, s’è eretto a difesa della patria, o meglio della ‘razza bianca’, messa in pericolo dall’orda barbarica dei neri che spingono da Sud, dal bacino mediterraneo, quello che ha assistito fiero alla nascita della cultura e della civiltà classica.

Preso dal parossismo politico, Fontana ha sgorgato fiumi di parole, che concettualmente non straripano, però come al solito forma e contenuto non collimano, come se si fosse in balia di correnti uguali e contrarie. È vero, come è vero, che Fontana ha affrontato a Radio Padania il tema dell’immigrazione come se fosse al bar tra amici, e questo resta l’errore maggiore di un’Italietta che ha perso la bussola dell’etichetta (ricordiamo la perla di Optì Pobà che mangiava banane nella jungla e ora gioca in serie A di calcio dell’ex presidente Tavecchio…).

Giudicate voi: «Non possiamo perché tutti non ci stiamo, quindi dobbiamo fare delle scelte. Dobbiamo decidere se la nostra etnia, se la nostra razza bianca, se la nostra società deve continuare a esistere o se deve essere cancellata.

Qui non è questione di essere xenofobi o razzisti, ma di essere logici o razionali. È una scelta. Non possiamo accettarli tutti, perché se dovessimo farlo, non saremmo più noi come realtà sociale, come realtà etnica».

A parte la normativa interna da attualizzare, lo ius soli (sacrosanto, ma va guadagnato), i flussi migratori da regolarizzare (è un dovere naturale), gli aiuti dall’altra parte del Mediterraneo –che appartengono a una politica internazionale e dopo interna- quello che disorienta è l’istintiva deriva razzista di chi si appresta a vestire i panni del leader in una pubblica amministrazione.

Si consiglia al signor Fontana una scorpacciata di speziato cous cous nel deserto coi fieri tuareg e una tonica abluzione in un’oasi per mondare i peccati che fanno rima con quelli del preconcetto e del pregiudizio. Poi, ne riparliamo. Sciacquati i panni nell’umiltà del genere umano, Fontana potrà essere riascoltato, magari esprimendo qualche idea.

 

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Finale cambiato alla Carmen, protesta il movimento dei bruti.

Il nostro sogno folle da bambini? Cambiare il finale alle storie che ci raccontavano.

Poco importa che fossero favole di Esopo o dei fratelli Grimm. Crescendo, poi, da adolescenti con gli ormoni e gli estrogeni da controllare (o da distribuire, a seconda dei casi…), chissà quante volte abbiamo immaginato di cambiare il finale a un romanzo, a un film e, perché no, a un’opera teatrale.

Così, in nome di una tardiva e mai sopita coscienza lirica parossistica, il sindaco di Firenze Dario Nardella, nel ruolo anche di presidente del Maggio musicale della sua splendida città, ha avallato di cambiare il finale della Carmen, l’opera di Bizet. Motivo? Una irrefrenabile passione per i finali alternativi, come talvolta va di moda negli spettacoli interattivi in cui sono gli spettatori a suggerire i titoli di coda? No. Peggio.

La motivazione (udite udite) è “per denunciare la violenza sulle donne, in aumento in Italia”, quindi per lanciare un messaggio ecumenico, volto alla pax sociale in un momento in cui il Bel Paese è nella convulsa spirale dell’abbrutimento. Al di là di una dichiarazione così spiazzante (e gli siamo grati stavolta al primo cittadino gigliato, infatti rifuggiamo per natura dalle omologazioni), restano le umane e artistiche perplessità. Se qualcuno già suggerisce di cambiare il finale in cui l’agnello mannaro divora l’astuto lupo controbilanciato però da un ipotetico futuro eccesso colposo di legittima difesa, Otello di schiarirsi la pelle (come fece il divo Michael Jackson) per evitare derive razziste, Cappuccetto Rosso di denunciare al Telefono Azzurro le pederastiche pretese del Lupo (ma attenzione al club degli animalisti, che a loro volta potrebbero querelare nonnina e cacciatore per un delitto contro il patrimonio, data la protezione della bestiola…), ascoltiamo le ragioni del sindaco fiorentino.

Lui ha concesso il placet al regista Leo Muscato, che aveva suggerito questo finale dissacrante (relativo all’opera, eh) in cui la Carmen evita la pugnalata di don Josè e lo defunge con una pistolettata, ottenendo così una grande amplificazione mediatica e riportando l’attenzione sulla lirica nazionale (ma non è così, per sua stessa bambinesca ammissione). Ancora: nessuno s’è mai chiesto in queste ore di rovente polemica se Nardella invece avesse consultato in una seduta spiritica l’anima di Georges Bizet, che ha trasformato il sindaco in un rabdomante del finale nuovo per evitare la morte di una donzella concupita dai più? Sarà.

I dubbi restano di fronte alle dichiarazioni del successore di Lorenzo il Magnifico, che avrebbe potuto evitare insieme al regista gli strali della critica se avessero dichiarato che l’opera era solo ispirata alla Carmen di Bizet. Ma torniamo a noi: attenzione ora al movimento spontaneo dei bruti, che ha già avanzato richiesta al Ministero dei beni culturali di cambiare gli happy end di ogni pièce.

 

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Chi va in biblioteca?

Sono soprattutto le donne a frequentare le biblioteche, e lo fanno particolarmente nel tempo libero.

E c’è chi le sceglie anche per incontrare gli amici. Ma ecco i dati emersi da un’indagine ISTAT a riguardo.

Sono oltre 8 milioni gli italiani che frequentano le biblioteche in Italia, il 15,1% delle persone con più di 6 anni. La ricerca evidenza come i frequentatori di biblioteche in tutte le fasce d’età siano aumentati rispetto al 2006, con una crescita particolare tra i 20 e i 24 anni. Il 17,2% delle donne le frequentano, soprattutto nel tempo libero (il 40,1%). Oltre alle attività tradizionali, come prendere in prestito un libro (60,1%), leggere e studiare (39,8%) o raccogliere informazioni (27,8%), c’è anche chi sceglie la biblioteca per incontrare gli amici (8,5%).

A frequentarle soprattutto i più giovani: tra i 6-24 anni, con un picco tra gli 11-14 anni che si attesa sul 41,5% di frequentatori nel 2015 (erano il 38,4% nel 2006). A partire dai 25 anni in poi l’utilizzo delle biblioteche diminuisce fino a toccare i livelli più bassi.

Le donne sono le maggiori frequentatrici: il 17,2% rispetto al 12,9% dei maschi. Le differenze di genere diventano minime tra i bambini tra i 6 e i 10 anni e oltre i 65 anni. Guardiamo la provenienza geografica: nel Nord-Est la frequenza delle biblioteche è più alta (il 22,1%), seguita dal Nord-ovest con il 20% mentre il Centro si attesta al 13,3%. Inferiori il Sud con il 7,6% delle frequenze e le Isole con il 10,4%. In particolare il risultato delle Isole è dato da due situazioni diverse: in Sicilia la quota è dell’8%, mentre in Sardegna è più del doppio, ovvero il 18,1%.

A Bolzano il 35% dei cittadini frequenta le biblioteche che sono anche molto diffuse: 43,5 ogni 100.000 abitanti. Al contrario in Campania dove c’è una più bassa percentuale di frequentatori (ovvero il 6,6%) ci sono meno biblioteche (sono 16,6 ogni 100.000 abitanti).

Ma perché si va in biblioteca? Il 42% le frequenta per motivi di studio e/o lavoro e il 39,2% nel tempo libero. Gli uomini preferiscono le frequentare per motivi di studio o lavoro (45,4% rispetto al 39,6% delle femmine) mentre le donne scelgono le biblioteche per motivi legati al tempo libero (40,1% rispetto al 37,8% dei maschi).

Anche i bambini tra i 6-10 anni scelgono la biblioteca per il tempo libero. Con il crescere dell’età, dagli 11 anni in poi, aumenta l’utilizzo per motivi di studio e lavoro. Dai 25 anni in poi, al contrario, è prevalente l’utilizzo per il tempo libero.

La biblioteca è scelta dal 60,1% delle persone per prendere in prestito i libri, che diventa il 67,4% delle persone nel Nord Italia. Il 38,9% la sceglie per leggere e studiare, nel Sud Italia diventa una persona su due (ovvero il 49,6%). Il 27,8% la sceglie per raccogliere informazioni. Sono inferiori le scelte per consultare quotidiani e riviste (9,8%), prendere in prestito materiale audiovisivo (9,3%) e consultare i cataloghi (9,2%), mentre per l’8,5% delle persone è una meta per incontrare gli amici. In particolare sono il 15,7% dei ragazzi tra i 15 e 19 anni a frequentare la biblioteca per questo motivo. I giovani tra i 20 e i 24 anni, invece, la utilizzano per leggere e studiare (75,9%) o per raccogliere informazioni (40,4%).

Le donne restano le più assidue nel frequentare le biblioteche. In particolare nella fascia di età tra i 20-24 anni una donna su due (ovvero il 54,4%) è andata in biblioteca 10 o più volte. Anche le età influenzano le visite in biblioteca. Un giovane su due tra i 20 e i 24 anni (ovvero il 52,3%) è andato in biblioteca 10 o più volte, mentre tra i 6-10 anni la quota è più che dimezzata (ovvero il 19,1%). Gli utenti più assidui (10 o più frequentazioni) sono il 36,6% nel Nord-est con un picco del 44,2% in Trentino Alto Adige. Le percentuali crollano al 26,1% nel Sud, mentre in Sicilia e Puglia si scende sotto il 23%.

Certo è che andrebbero aiutate le biblioteche su come divenire centri di lettura (e di scrittura), in modo da essere punti di riferimento attivi nel processo di crescita culturale del Paese.

 

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La Francia che non ho conosciuto.

Un libro di Roberto Giardina. Lo storico corrispondente de Il Giorno e di QN in viaggio dalla Costa Azzurra a Strasburgo (passando per il Belgio).

A chi già conosce la Francia per esserci stato afferra la nostalgia di tornarci. A chi non c’è stato la voglia di andarci. Succede questo, leggendo il libro “Attraverso la Francia”, edito da Bompiani e scritto da Roberto Giardina, il vecchio corrispondente da Berlino, ma prima ancora da Parigi e altre capitali d’Europa, de Il Giorno e degli altri quotidiani riuniti sotto la sigla del Quotidiano Nazionale.


Giardina sa evocare atmosfere, sapori, suoni dei luoghi che ci fa visitare e, insieme, rievocare personaggi che in quei luoghi hanno vissuto quando non legati ad essi per sempre, ben descrivendo l’ambiente, i paesaggi, l’epoca. Quest’ultima sempre confrontata con l’oggi. Un viaggio che dalla Costa Azzurra ci porta a Parigi, non prima però di essere risaliti per la Provenza e la valle del Rodano, la Corsica e i Pirenei fino alla romantica Biarritz sulle coste dell’Oceano, la Loira e, come trascurarle?, la Bretagna e la Normandia.

La scrittura di Giardina, guidata da una mano sicura ed esperta quanto pervasa da un forte sentimento che, in certi momenti si veste di luce poetica, ci guida alla scoperta di un mondo spesso inedito, fatto di particolari, dettagli, episodi e aneddoti talora segreti, che rappresentano il tocco del grande giornalista abituato a dare ai suoi lettori informazioni esclusive o quasi. E, se non esclusive, dimenticate, perché appartenenti a quella piccola storia che sta dietro la grande storia, spesso la prima causa e ragione della seconda.

Potete immaginare il ventaglio di curiosità. Solo nel capitolo della Costa Azzurra si parla di Napoleone Bonaparte e del suo sbarco dall’isola d’Elba dov’era prigioniero a Golfe-Juan e da lì verso Parigi per riprendersi il potere, così tracciando il percorso della Route Napoleon, ovvero la RN85; si parla di Grace Kelly e il rosa e il nero della sua vita, di Isadora Duncan, Francis Scott Fotzgerald e di sua moglie Zelda, ma anche di Katherine Mansfield e D.H.Lawrence che qui erano venuti a curarsi della tisi o di Re Leopoldo II del Belgio che dopo una crociera sulla Čote si trasferì qui godendosi la vita. E poi Matisse, Françoise Sagan, Graham Greene.

Su questa linea, che rende particolarmente viva la narrazione, integrata da molte annotazioni non esenti da ricordi personali, si muove tutto il libro che va a costituire una singolare guida, forse unica nel suo genere, di un grande Paese, che naturalmente non si ferma a Parigi, anche se, per la sua importanza storica e culturale, la parte che la riguarda è la più ampia del libro (ma qui ci fermiamo in compagnia di Ernest Hemingway, Pablo Picasso, Henry Miller, Amedeo Modigliani, James Joyce, Gertrude Stein, un elenco lunghissimo e ricchissimo di personaggi, eventi, storie, strade, quartieri. Riviviamo il Sessantotto e, prima, la stagione degli esistenzialisti e così via).

La strada poi prosegue per la Borgogna con le sue vigne, l’Alsazia, la Lorena, le Ardenne con le loro guerre, i conflitti e lo spostamento dei confini ora in favore della Francia ora della Germania, fino allo storico incontro tra De Gaulle e Adenauer, nella casa che il vecchio generale si era comprato per esserne proprietario solo finché era in vita (con una formula vigente in Francia, ma non da noi, chiamata viager, per cui sei proprietario della casa finchè sei in vita e poi basta), casa in cui fu sancita la pace futura tra i due Paesi e gettate le basi per l’Europa Unita. Quella Europa Unita che ha in una città dell’Alsazia, cioè Strasburgo, la sede del suo Parlamento.

Dalla Francia non manca un passaggio nel vicino Belgio, per i tanti legami che uniscono i due Paesi. Basti pensare a Jacques Brel o a George Simenon, nati in Belgio e adottati dalla Francia, senza dimenticare il piccolo ma ricco principato del Luxemburgo. Tutti itinerari, tra l’altro illustrati dalla matita e colori di Alessandra Scardella, da portarsi dietro per un viaggio non banale che l’autore, tra un capitolo e l’altro, supporta di tante informazioni pratiche che si raccomanda di tenere presenti, qualora si decidesse di attraversare la Francia e, come dice il sottotitolo del libro, “senza dimenticare il Belgio”.

 

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