Picco di ricorsi all'ABF

Sono circa 30.600 i ricorsi presentati nel 2017 all’Arbitro Bancario e Finanziario (ABF), con un aumento del 42% rispetto all’anno precedente.

L’ABF è il sistema stragiudiziale di risoluzione delle controversie bancarie indipendente, istituito presso la Banca d’Italia. Nella relazione annuale si legge anche che nei primi tre mesi del 2018, con circa 8.000 ricorsi ricevuti, si registra una sostanziale stabilità rispetto al 2017.

Apprendiamo, inoltre, che le regioni con maggior numero di ricorsi in rapporto alla popolazione residente sono: Campania, Calabria e Sicilia.

Materia quantitativamente prevalente dei contenziosi aperti è la cessione del quinto di stipendi/pensioni (73% dei ricorsi totali). Oltre ben il 77% di questi ricorsi “ha avuto un esito sostanzialmente favorevole al cliente (47% accolti; 30%cessati), con restituzioni di circa 19 milioni di euro”. Leggiamo anche che, stante il picco di ricorsi, la durata del contenzioso è stata in media di 260 giorni, durata considerata non soddisfacente e per la quale c’è l’impegno di ridurla.

Osserviamo che un tale aumento di contenzioso bancario e finanziario,  con prevalente esito a favore del cliente,  è sintomo di un problema sistemico, ma lascia anche spazio a una speranza di giustizia.  Mai dare nulla per scontato, dunque! Non sempre la ragione è dalla parte del più forte ed è giusto, se si è convinti di aver subito un torto da una banca, far valere i propri diritti.

 

Banca Popolare di Bari, cosa cambia dopo la sentenza della Consulta.

Ci siamo occupati altre volte dell’annosa vicenda della Banca Popolare di Bari che ha visto letteralmente travolti tanti investitori.

Questi azionisti ad oggi, in sostanza, si ritrovano con un pacchetto azionario illiquido e avente un valore nominale assai inferiore di quello d’acquisto.

Un elemento di novità nel contesto generale potrebbe essere rappresentato dalla recente decisione della Corte Costituzionale che ha respinto le istanze di incostituzionalità sollevate al Consiglio di Stato, causa del ritardo nell’applicazione della riforma delle banche popolari a suo tempo approvata.

Nel 2015, infatti, il governo Renzi approvò un decreto legge con cui imponeva la trasformazione delle banche popolari più grandi (con patrimonio superiore agli 8 miliardi) in società per azioni, entro la fine del 2016.

La riforma interessava 10 Istituti di Credito: BPM, BPER, CREVAL, POPOLARE DI SONDRIO, UBI, BANCO POPOLARE, BANCA ETRURIA, POPOLARE DI VICENZA, VENETO BANCA e POPOLARE DI BARI.  Di queste, 8 su 10 si sono adeguate alla nuova disposizione di legge, tutte eccetto Banca Popolare di Bari e Banca Popolare di Sondrio. Da alcuni soci di minoranza della Popolare di Sondrio, infatti,  furono presentati i ricorsi, adesso respinti in via definitiva.

Ma come erano state governate fino ad allora queste banche? Col voto capitario, in base al quale ogni socio può esprimere un solo voto (un voto per ogni testa) nell’assemblea degli azionisti, a prescindere dal numero di quote possedute.

Grazie a questo sistema, letteralmente scardinato dalla riforma del 2015, nessun soggetto, banche incluse, ha mai potuto acquisire il controllo della maggioranza dei voti in assemblea. Anche le nomine degli amministratori avvenivano con il consenso della maggioranza degli azionisti.

Dopo il periodo di congelamento dovuto ai ricorsi pendenti, adesso anche la Popolare di Sondrio e di Bari devono adeguarsi alla riforma e questo potrebbe significare la possibilità di manovre per scalare i due istituti.

Anche la Popolare di Bari sta procedendo alla trasformazione in S.p.A. e, in base alla circolare di attuazione di banca d’Italia,  i soci avranno facoltà di recesso dalle azioni possedute, oggi del valore di 7,50 euro ciascuna, ma senza diritto di rimborso

Staremo a vedere, l’unica certezza, per ora, è che ormai anche tutte le popolari entreranno sui mercati azionari. Le conseguenze, al momento, non sono valutabili.

 

Banca Pop. Bari: Uno spiraglio di speranza per gli azionisti

Tutti accolti i primi ricorsi in favore di cinque azionisti della Banca Popolare di Bari dall’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF).

Un giudizio che potrebbe rappresentare un importante precedente per i tanti investitori rimasti con azioni illiquide e quotate oggi sul mercato   HiMtf a un prezzo molto inferiore rispetto a quello di acquisto.

L’ACF ha accertato che nelle vicende prospettate vi erano state numerose  violazioni della normativa a tutela dei risparmiatori.   Soprattutto ha valutato  che la mera consegna o la dichiarazione del cliente di aver preso visione dei documenti, non si traduce in via automatica nell’adempimento da parte della banca degli obblighi informativi, previsti dagli artt. 31 e 32 del Regolamento Consob 2007.

Come in altre decisioni, l’arbitro ha osservato che la mera consegna o la dichiarazione del cliente di aver preso visione del Documento di Registrazione, della Nota Informativa, della Nota di Sintesi e dei Fattori di rischio, non si traduce sic et simpliciter nell’adempimento degli obblighi informativi. Infatti scrive il collegio: “ […]  gli obblighi informativi degli intermediari verso i propri clienti si inseriscono in un quadro normativo la cui pietra angolare risiede proprio nella capacità di “servire al meglio l’interesse” del cliente, adattando la prestazione erogata in ragione delle specifiche caratteristiche del contraente (esperienza, conoscenza, obiettivi di investimento, situazione patrimoniale)”.
Precisa il collegio che sugli intermediari grava anche un generale obbligo di profilatura dei prodotti offerti, per valutare, in concreto, la loro adeguatezza rispetto al profilo di rischio del cliente.

Riguardo alle azioni delle azioni della Banca Popolare di Bari il collegio nutre forti perplessità sulla fatto che il rischio connesso alle azioni possa essere stato valutato come “medio”.

Tale valutazione non è condivisibile perché, come sottolinea l’arbitro, si tratta, comunque, di quote di capitale di rischio e, ancor più, di strumenti illiquidi che, in quanto tali, tipicamente espongono il cliente non solo al rischio di perdita dell’intero capitale investito ma anche a quello, ulteriore, di non riuscire ad operare disinvestimenti, come d’altronde effettivamente accade per tutti gli azionisti della Popolare di Bari.


Non è la prima volta che l’ACF condanna la banca pugliese a risarcire i clienti, confermando le molte criticità connesse al collocamento  delle azioni della Banca Popolare di Bari, ma anche di altre banche non quotate. I  profili di scorrettezze possono essere fatti valere dai clienti presso gli organi giudiziari o arbitrali per chiedere l’invalidità del contratto, e quindi la  restituzione dell’investimento o il risarcimento del danno subito.


In questi casi l’ACF ha calcolato il danno nella differenza fra la somma che gli azionisti avevano pagato per comprare le azioni ed il valore presumibile di smobilizzo dell’azione sul mercato secondario Hi-MTF (euro 5,70). Il tutto oltre interessi legali. 

Tuttavia il danno effettivo per il cliente può essere molto maggiore perché non si sa se sarà effettivamente possibile smobilizzare l’investimento a tale prezzo. Gli scambi sul mercato HiMtf sono infatti ben pochi per offrire sufficienti garanzie di liquidabilità.


Ricordiamo che sono circa 70mila gli azionisti di Banca Popolare di Bari rimasti incastrati in azioni acquistate quasi tutte al prezzo di 9,53 euro, e attualmente invendibili e comunque con un prezzo teorico molto inferiore.

 

Assicurazioni online: Truffe sempre più frequenti.

State per assicurare una nuova macchina o semplicemente cercate una polizza  assicurativa più conveniente?  Attenzione alle possibili truffe da parte di false compagnie di assicurazione.

Rendere sicuro, proteggere da un danno o pericolo. Questo, in due parole, il significato essenziale all’origine di un qualsiasi contratto di assicurazione. Sempre più spesso, però, è necessario difendersi dalle truffe in agguato, soprattutto  quando si stipula una polizza on line.

Lo stesso IVASS, l’Istituto per la Vigilanza delle Assicurazioni, mette in guardia i consumatori, invitandoli a diffidare da offerte apparentemente fin troppo convenienti, dietro le quali si nascondono pericolose insidie: da false compagnie (spesso in fase di liquidazione) ad alcune straniere che illegalmente stipulano polizze non valide sul territorio italiano, fino ad agenti assicurativi che operano per loro conto sotto nomi somiglianti a quelli di compagnie vere e serie. La fantasia truffaldina spazia fino a concepire di accollare al malcapitato di turno un incidente mai avvenuto, magari con la connivenza di qualche falso testimone, così da aumentare “legalmente” la classe di merito e, quindi, il premio da pagare.

Dietro allettanti promesse di interessanti risparmi possono nascondersi inganni e frodi dai quali bisogna imparare a difendersi. Del resto, di pari passo con le importanti conquiste e gli innegabili vantaggi, l’universo web può costituire un ottimo terreno fertile per i truffatori che, protetti da uno schermo, possono riuscire ad  ingannare chi si metta alla ricerca delle offerte più vantaggiose.

Le truffe più frequenti ovviamente sono quelle sulle polizze RC auto, perché obbligatorie e, di conseguenza, oggetto da un lato di necessità di risparmio per il consumatore e dall’altro  di prodotti invitanti per i falsi intermediari di assicurazioni.

Vediamo, dunque, le principali accortezze da adottare prima di sottoscrivere una polizza on line.

Innanzitutto, come detto, sul sito dell’IVASS è possibile consultare l’elenco delle imprese italiane ed estere autorizzate ad esercitare nel ramo RC Auto in Italia.

Sui siti internet degli intermediari online devono sempre essere forniti:

  • i dati identificativi dell’intermediario;
  • l’indirizzo della sede, con recapito telefonico, fax e posta elettronica;
  • il numero e la data di iscrizione al Registro Unico degli Intermediari assicurativi e riassicurativi, con l’indicazione di essere soggetto al controllo dell’IVASS;
  • in caso di intermediari appartenenti allo Spazio Economico Europeo (SEE) abilitati ad operare in Italia, il sito deve anche fornire l’ubicazione della sede secondaria e il possesso dell’abilitazione all’esercizio dell’attività in Italia, con l’indicazione dell’Autorità di vigilanza dello Stato membro di origine;
  • se il pagamento viene effettuato in favore di conti o carte ricaricabili, l’intermediario iscritto al registro deve essere il titolare del conto o della carta.

In conclusione: assicuriamoci di assicurarci davvero!

 

Mistero su Venice Forex

Il forex, il mercato delle valute, nasconde insidie ed equivoci. Il caso della Venice Investment Group, che ha generato un buco di 50 milioni e lasciato a bocca asciutta mille piccoli investitori.

Investire una somma a fronte di un ritorno immediato è un buon ritorno con rischi zero. Fino a quando il sistema si inceppa e viene qualche dubbio sul modus operandi del trader finanziario. 

Oggi è eclatante il caso della Venice Investment Group, che ha ereditato l’operatività della Venice Forex. Le ultime notizie ufficiali gli investitori le hanno avute il 29 marzo dalla pagina Facebook ufficiale del gruppo veneto, che oggi ha sede fiscale a Nova Gorica, in terra slovena. Poi, è scattata l’indagine della Procura di Venezia.

Ma facciamo un passo indietro.

La Venice Investment Group è una società mandataria per i propri clienti, opera nel mercato di scambio di valuta estera ed ha sede a Londra. Certo, la Venice Investment Group era anche finita sotto il mirino investigativo da parte della Consob, che aveva inviato al gruppo una diffida in attesa di conoscere meglio il suo modo di operare. Ma perché? Cosa aveva combinato la Venice? Il gruppo offriva rendimenti del 10% settimanali agli investimenti effettuati dai risparmiatori. E’ accaduto però che dopo un periodo felice sono arrivati i primi ritardi e dopo ancora a non arrivare affatto i ricavi, fino a generare le vibrate proteste di chi aveva investito qualche risparmio.

A quel punto sono partite le denunce e gli investigatori hanno accertato che le persone coinvolte potrebbero essere un migliaio mentre il buco finanziario si aggirerebbe intorno ai 50 milioni. Ad oggi, l’ad del gruppo, Fabio Gaiatto, è finito sotto inchiesta con l’accusa di truffa, appropriazione indebita e violazione della normativa bancaria. Il piemme titolare dell’indagine ha esortato il trader a restituire le somme mancanti, mentre dalla sede di Nova Gorica gli impiegati ostentano sicurezza affermando che le somme con gli interessi arriveranno a stretto giro. Ma quello che pare lampante in questa prima fase dell’inchiesta è che i soldi sono spariti e che i risparmiatori per tutelare i loro investimenti si sono riuniti nel gruppo Facebook Class action Venice Group.

La giustizia farà il proprio corso, ma i soldi investiti torneranno ai legittimi proprietari?

 

logo magazine 1 1

&MAGAZINE - &Consulting Editore
Reg. Trib. Roma n. 144/05.05.2011
REA: RM1297242 - IVA: 03771930710
00186 Roma - Vicolo del Grottino 13

NGN white footer

NGN - LIBERCOM Editore
Aut. Trib. Perugia n. 2124-10.06.2020
Reg. Stampa 2/2000 - ROC n. 39528
Cod. Fisc. 94174950546

Ultime notizie
Media & Social
Info & Contatti
Diritto
Economia
Cultura

logo magazine 1 1

&MAGAZINE - &Consulting Editore
Reg. Trib. Roma n. 144/05.05.2011
REA: RM1297242 - IVA: 03771930710
00186 Roma - Vicolo del Grottino 13

NGN white footer

NGN - LIBERCOM Editore
Aut. Trib. Perugia n. 2124-10.06.2020
Reg. Stampa 2/2000 - ROC n. 39528
Cod. Fisc. 94174950546

Ultime notizie
Media & Social
Info & Contatti
Diritto
Economia
Cultura
Image